Vellichor

di filo-sofia

Vellichor – questa parola indica la strana melanconia che hanno i negozi di libri usati, che in un certo senso sono imbevuti del passato.

 

Oggi piove. Piove a dirotto, il che significa che questa giornata sarà una delle migliori della mia settimana. Vengo da un posto in cui c’è il sole sette giorni su sette, a quasi ogni ora del giorno; quindi nonostante io ami anche il clima estivo e caldo dove sono cresciuta, venire a Londra e trovare un clima così diverso è stato, inaspettatamente, un cambiamento che ci voleva da un po’ nella mia vita. Oggi piove, e sono uscita di casa lo stesso, munita di ombrello e spiccioli in tasca per godermi la città sotto questa pioggia insolente, che riempie le facce delle persone intorno a me di scocciatura, ma che a me fa solo venire voglia di ballarci dentro – senza fregarmene di tutti i vestiti che si bagnano, del cappotto appena comprato e di tutta la gente che mi guarda interdetta ed eloquente, senza sapere bene come reagire. Vorrei farlo, ma non lo faccio. Sospiro, riprendendomi dalla sfera dei miei pensieri e continuando la mia passeggiata mattutina; anche se, con il cielo così grigio mi sembra già pomeriggio tardi, se non sera.

Percorro strade, vicoli, entro in negozi per godermi il dolce calore del riscaldamento, mi rifugio sotto i tetti quando la pioggia batte troppo forte; mangio con gli occhi i biscotti e tutto il cibo di strada che vedo dalle bancarelle, ma è tutto così bello e impiattato così bene che ho paura di rovinarlo! Poi arrivo di fronte una libreria: non ha un nome particolare, sopra c’è semplicemente una grande scritta bianca in grassetto che recita la parola “Library”, definita da un contorno nero come metà dell’insegna. La vetrina mostra file di libri vecchi, di cui posso sentire il profumo d’inchiostro persino da qui fuori – il resto dell’edificio è ricoperto di mattoni bordeaux, sopra i quali in questo momento la pioggia scorre imperterrita. Decido di entrare senza pensarci due volte. Subito un odore acre ma piacevole mi invade le narici, e sorrido involontariamente; da ogni lato in cui volgo lo sguardo non vedo altro che libri, e cartine, e mappamondi – la maggior parte dei libri sono dalle copertine vecchie e rovinate, e penso che debbano essere qui già da parecchio.

“Buongiorno, ha bisogno di qualcosa?” Una voce dietro di me mi fa voltare e incrocio lo sguardo di quella che penso si possa definire il perfetto e completo stereotipo della bibliotecaria: a prima vista, avrà circa sessant’anni; i suoi occhi ghiaccio sono messi in risalto da un paio di occhialoni che le ingrandiscono le pupille, con il contorno verde acqua; i capelli, corti e grigi, sono lasciati cadere subito prima del collo e arricciati da onde create, probabilmente, da dei bigodini. Insomma, in un universo parallelo mi sarebbe piaciuto averla come la nonna che ti prepara la merenda delle cinque, ché mi basta guardarla per sentire un calore accogliente riscaldarmi nonostante il cappotto bagnato.

“Oh, buongiorno; grazie ma stavo solo dando un’occhiata.” Mi sorride, io ricambio il sorriso; poi torno ad osservare quella libreria così bella e mi viene subito da chiedermi come mai questo posto l’ho scoperto solo ora. Se l’avessi visto prima, penso che sarei subito diventata una cliente abituale: ogni pagina di questo libro racchiude un momento passato che non si ripeterà mai più; ogni singola goccia di inchiostro che non verrà mai più usata; ogni cartina ingiallita e così vecchia che il mondo sopra di essa è completamente distorto, ognuna di queste cose mi riempiono il cuore di gioia e mi sembra di starmi riscaldando davanti al calore di un enorme camino, e di non volermi allontanare mai più da esso.  Afferro un libro da uno degli scaffali della categoria avventura: I viaggi di Gulliver. Non riesco a trattenere il sorriso pensando a quante volte abbia chiesto ai miei, quand’ero bambina, di leggermi ogni sera un po’ di pagine di questo libro. Voglio dire, è probabile che me lo ricordi a memoria! Passo due dita sopra la copertina rigida e un po’ polverosa, e lo apro scoprendo che, proprio come immaginavo, le pagine sono così ingiallite da rovinare quasi le scritte.

Ma non mi importa: ho intenzione di prenderlo, per cui mi dirigo verso la bibliotecaria e poggio il libro sulla cassa, facendole intuire che voglio comprarlo. “Prendo questo, grazie”. La signora sorride e annuisce, poi mette il libro di una bustina di carta – una delle più piccole che abbia mai visto – marrone, dopodiché fa un calcolo usando la calcolatrice che tiene di fianco a lei ed esclama: “Sono quattro sterline e venti, cara”. Aggrotto un momento le sopracciglia, riflettendo. Così poco? Poi decido di non farmi troppe domande, allora scrollo le spalle e caccio le monete dal borsellino. “Ecco qui,” allungo la mano verso la signora e lei li afferra subito. Mi augura buona giornata, ricambio il saluto e apro l’ombrello prima di uscire dalla libreria. Quando torno a casa, sono un po’ più felice di quando sono arrivata.

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