I mondi incantati di Miyazaki #4 Alla ricerca dell’Utopia perduta Laputa – Il Castello nel Cielo (H.Miyazaki, 1986)

del prof. Lucio Celot

 

[…] il lettore può immaginare la mia meraviglia

quando vidi viaggiare in aria un’isola abitata da uomini che, sembrava,

erano capaci di farla salire, scendere e di accelerarla a loro piacere.

(J.Swift, I viaggi di Gulliver)

Primo lungometraggio prodotto dalla Ghibli, la casa di produzione fondata da Miyazaki e Takahata dopo il successo di pubblico e critica di Nausicaä della Valle del Vento, Laputa – Il castello nel cielo si pone fin dal titolo nel segno di Jonathan Swift e del suo instancabile viaggiatore Lemuele Gulliver, che durante il suo peregrinare incessante viene ospitato dal monarca di Laputa, una città volante governata da tecnocrati dediti esclusivamente allo studio della matematica e della musica. Rispetto all’intento satirico e parodico dell’episodio nei Viaggi di Gulliver (1726), che mette alla berlina l’utopia tecno-scientifica della New Atlantis di Francesco Bacone, Miyazaki ne recupera solo l’idea iniziale, abbandonando l’implicita critica di Swift agli intellettuali suoi contemporanei e ponendosi, invece, nel solco della tradizione del racconto utopico che ha in More e Campanella i suoi padri nobili.

La giovane Sheeta non sa di essere la legittima erede al trono del regno di Laputa, una leggendaria isola volante che da settecento anni si libra nel cielo, lontana dagli occhi degli umani e fonte di un potere immenso. La ragazza possiede un gioiello, “l’aeropietra”, capace di annullare e controllare la forza di gravità; rapita dal malvagio Muska, un folle assetato di potere anch’egli discendente da un’antica famiglia di Laputa, viene aiutata a fuggire da Pazu, un ragazzo che lavora in una miniera. All’affannosa ricerca dell’isola volante partecipano anche la scombinata famiglia della matriarca Dola, un’avida piratessa dell’aria attirata dalle enormi ricchezze di cui si favoleggia a proposito di Laputa, e un alto quanto ottuso ufficiale dell’esercito in combutta con lo stesso Muska, interessato alle potentissime armi e alla tecnologia distruttiva di cui il favoloso regno, secondo il mito, sarebbe dotato. Tra terra e cielo, con macchine volanti di ogni dimensione e foggia, come ormai ben sa il pubblico di Miyazaki, la quête di Pazu e Sheeta troverà finalmente la sua meta e i due adolescenti faticheranno non poco per dare il benservito ai villains e, soprattutto, preservare il segreto di Laputa da ogni pericolosa deriva militarista e dalla violenza del potere.

Ancora prima di Porco Rosso (qui la recensione su Pausacaffè), Laputa è un autentico manifesto ideologico che esprime tutto l’ecologismo, l’antimilitarismo e il pacifismo utopico di Miyazaki. Orrore per la guerra, necessità della pace universale: nella coscienza e nell’immaginario collettivi del Giappone, la tragedia di Hiroshima e Nagasaki ha un posto rilevante, tanto da avere perfino condizionato, nel dopoguerra, la stesura della Costituzione della nuova democrazia nipponica, che all’articolo 9 parla espressamente della “rinuncia per sempre alla guerra” da parte del popolo giapponese. Il pacifismo non è solo un’ideologia ben piantata nel corpo della società giapponese ma anche, nel caso di Miyazaki e altri artisti, il pilastro della poetica dello Studio Ghibli. Dagli anni ’70 in poi, non si contano gli anime che rimandano più o meno esplicitamente a Hiroshima e, più in generale, al tema della guerra: Pika-don (1978, R. e S.Kinoshita), Gen di Hiroshima (1983, M.Masaki), Una tomba per le lucciole (1988, I.Takahata: qui la recensione del nostro Andrea Fusco) e quasi tutti i lungometraggi di Miyazaki (Nausicaä della Valle del Vento, 1984; Porco Rosso, 1992; Principessa Mononoke, 1997; Il castello errante di Howl, 2004; Si alza il vento, 2013) affrontano ognuno con la propria sensibilità il vero tema che è a monte, e cioè quello del nucleare, della bomba e della resa incondizionata dell’agosto 1945.

Laputa ci parla della nostra acritica e incondizionata celebrazione del progresso tecnologico: la “narrazione” comune vuole che la scienza e la tecnologia si sviluppino con finalità nobili, strumenti che devono contribuire a migliorare le nostre vite nel rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi; eppure, come comprenderà bene anche il protagonista di Si alza il vento (ne abbiamo parlato già qui), la disillusione è dietro l’angolo, incarnata dall’uso bellico e distruttivo cui la tecnologia sembra essere destinata (con la correlata scelta cromatica, in Laputa, del rosso sangue che domina nelle scene di guerra e distruzione). Miyazaki rovescia, utopisticamente, questo assunto: i robot umanoidi che Sheeta e Pazu incontrano in una Laputa abbandonata dai suoi abitanti sono stati costruiti con scopi bellici; eppure, nel momento in cui gli uomini non ci sono più, rivelano un “animo” gentile e sensibile, proteggono le specie animali che ancora vivono sull’isola fluttuante, si prendono cura degli alberi, in una parola, sono Tecnologia avanzatissima che convive con una Natura ancora edenica (con la predominante cromatica del verde intenso): ed è questo il messaggio ecologista e pacifista di Miyazaki. L’ultimo gesto dei due giovani protagonisti consiste nel “disinnescare” Laputa, nel distruggere l’apparato tecnologico oggetto della rapacità e avidità degli uomini: scopriranno, nelle ultime sequenze, che il “segreto” dell’isola è ben custodito tra le impenetrabili radici di un albero millenario. Sconfitto il Potere e ridicolizzata la stupidità della logica militarista, l’Utopia, libera, può tornare finalmente a volare.

Laputa – Il Castello nel Cielo (Tenkū no shyro Rapyuta)

Regia: Hayao Miyazaki

Distribuzione: Giappone 1986 (anim., col., 124 min.). Disponibile su Netflix

 

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