Il diritto dell’offeso: le cause sociali dell’«emergenza femminicidi»

di Sofia De Micco IIH

Quello che sta succedendo nell’ultima settimana è esattamente ciò che succede ogni volta che si verifica un femminicidio: la notizia viene trasmessa in televisione, l’umanità si mostra indignata, si compiange la vittima (solo dopo averla colpevolizzata perché «troppo indipendente», sia chiaro), si fa finta di sensibilizzare un po’ i giovani e, come sempre, dal governo nessuna parola. Dopo poche settimane (nel caso più recente, pochi giorni), viene commesso un altro femminicidio: si ripete lo stesso pattern, la stessa routine che serve a far vedere ai parenti delle vittime che, almeno, «la stiamo ricordando».

Non si fa mai, però, qualche passo indietro: non ci si chiede il perché, non si analizzano le cause psicologiche e sociali per cui qualcuno dovrebbe scegliere di uccidere una donna in questo modo – perché ricordiamolo, come diceva michela murgia, la parola «femminicidio» non indica solo il sesso della persona uccisa, ma soprattutto il modo in cui essa viene uccisa.

Parlano di giulia, che è stata accoltellata 75 volte; di Sara, uccisa da un suo compagno universitario ossessionato da lei; di Ilaria, uccisa e chiusa in una valigia dal suo ex, mentre la madre di lui era nell’altra stanza; ma lo fanno senza alcuna forma di analisi sociale. Uno spettacolo del dolore a servizio dell’ordine costituito, un modo implicito e sottile per confermare l’idea che queste violenze sono il problema di singoli individui, di uomini malati; come se non fossero invece il risultato di un tipo di società nel suo insieme. Un modo per rassicurarci, una sorta di psicologia inversa per farci pensare che ciò che sentiamo in televisione sia lontano da noi, una minaccia sempre “esterna”, che ci fa pensare «non potrà mai accadere a me».

Eppure, la verità è un’altra: non “tutti gli uomini”, ma ogni donna, almeno una volta nella sua vita, ha subìto un tipo di sopruso, molestia, o abuso. Il femminicidio va dunque immaginato come solo la punta di un iceberg enorme, alla cui base ci sono blocchi di ghiaccio stabili di un sistema patriarcale che è così radicato nelle nostre teste – sia uomini che donne – da infilarsi dappertutto, anche nelle singole conversazioni, quando una donna viene interrotta da un uomo, o quando ci si aspetta che essa debba essere convenzionalmente attraente come prerequisito fondamentale per avere qualsiasi relazione sociale con una persona dell’altro sesso.

La domanda da porsi dunque è un’altra: nonostante i tanti progressi fatti negli anni, nonostante la mentalità dell’uomo stia cambiando, perché continuiamo a sentire queste notizie così spesso?

La risposta non è di certo semplice né immediata, ma ciò che è sicuro, è che le cause sociali dietro la frustrazione di questi uomini sono tante. È chiaro che l’uomo al giorno d’oggi soffra di un malessere interiore, di una profonda non-accettazione della progressiva emancipazione della donna: si tratta del cosiddetto «diritto dell’offeso» – il fenomeno per cui un gruppo di persone con poteri e privilegi percepisce l’uguaglianza e l’inclusività come una perdita di status, di conseguenza come un attacco personale. Su questo fenomeno si basa la maggior parte della misoginia ancora presente al giorno d’oggi: dal ragazzino che dice alla propria fidanzata cosa deve o non deve indossare, fino ad arrivare i famosi gruppi telegram della Manosphere – gli «Incel», o i «Black pill», esposti recentemente nella serie “Adolescents”, ma che portano avanti tesi misogine e violente da decenni. Dal primo all’ultimo, siamo schiavi della «rape culture», in cui anche l’atto più meschino verso una donna viene normalizzato, perché è così che il mondo è sempre andato avanti, e sempre così andrà. l’uomo non accetta di star lentamente perdendo quel potere economico e sociale che gli permetteva di sovrastare la donna in diversi campi, e questo lo porta a “sfogarsi” in altri modi – se non riescono a sentirsi migliori delle donne in ambito fisico, lo faranno in ambito domestico; se non riusciranno in ambito domestico, lo faranno in ambito lavorativo; se non riusciranno in ambito lavorativo, lo faranno in ambito politico. E non perché l’uomo sia malvagio di natura, ma perché è così che è abituato dall’inizio dell’umanità, e a nessuno di loro conviene cambiare un sistema che li privilegia. In qualche modo, devono assicurarsi che il loro status, così accomodante e conveniente per loro, non venga perso – al punto che, in quei gruppi telegram, le donne vengono chiamate “np”, “non-persone”. Al punto che si finisce ad molestare, stuprare e uccidere, in nome del possesso e del controllo.

Dunque, è necessario scavare più a fondo se si vuole davvero cambiare qualcosa, perché limitarsi a denunciare i femminicidi come un qualcosa di ripugnante, totalmente isolato e sconnesso dal resto del sistema, porta solo le persone ad un bisogno di repressione, a voler aumentare le pene in carcere per chi commette questi crimini, senza davvero fare in modo che i crimini non vengano commessi in primis. La trasmissione di notizie sul femminicidio basata sul sensazionalismo nega alle persone la possibilità di trovare collegamenti fra il crimine e il sistema in sé – un sistema marcio dal fondo, di cui il femminicidio è solo l’ultimo gradino, perché la violenza inizia ben prima.

Ma allora, la soluzione qual è? Nessuna, se non conoscere a fondo ciò che abbiamo attorno: non si può eliminare un fenomeno partendo dalla superficie, dai rami, ma bisogna estirparlo dalle radici, dal profondo. Il comportamento di un sistema – quello patriarcale, che ci sta lentamente uccidendo – non può essere compreso solo conoscendo i singoli elementi di cui il sistema stesso è composto.

È il momento di smetterla di normalizzare il non poter camminare da sole la notte, il dover avere sempre nella borsa uno spray al peperoncino, il dover condividere la propria posizione con le amiche o con la famiglia: qui il problema non è solo nell’atto di femminicidio in sé, ma è nei media che consumiamo, nei modelli che ci vengono proposti, nelle conversazioni che abbiamo e nelle persone che ci scegliamo come idolo ed esempio.

Perché giustificare la situazione grave in cui ci troviamo dicendo che «non sono tutti gli uomini» vuol dire ignorare che il motivo per cui la maggior parte delle donne viene uccise è proprio perché esercitano quell’empatia verso i loro assassini, quella speranza nel credere che, appunto, non siano tutti gli uomini, e che loro non saranno le ennesime vittime. È per questo che vengono sempre uccise durante l’ultimo incontro, l’ultimo chiarimento, l’ultima volta.

Facciamo parte di un sistema che ha insegnato a generazioni di donne che amare vuol dire salvare, assorbire la violenza, contenerla e gestirla. Per questo, adesso è arrivato il momento di non fermarsi più alla superficie trasparente, ma di andare ad ingrandire le crepe, ad aprirne delle altre, più grandi e più profonde. E questo sta sia agli uomini che alle donne, in quanto entrambi sono schiavi di un sistema ormai registrato come fosse un programma principale di un software in un computer; affinché, quando ci promettiamo che questa sarà l’ultima donna ad essere uccisa, lo sarà davvero.

 

 

2 pensieri riguardo “Il diritto dell’offeso: le cause sociali dell’«emergenza femminicidi»

  • 25 Aprile 2025 in 16 h 17 min
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    Innanzitutto grazie Sofia per aver condiviso con noi quest’analisi profonda e vera di quanto sta accadendo.
    Sono completamente d’accordo con te. Lo stesso modo di fornire la notizia, nella maggior parte delle volte, è sbagliato e fuorviante così come i tanti commenti permessi che, invece di aiutare a trovare una soluzione o raccontare il fatto condannandolo, cercano spesso di spostare (chissà perchè…) l’attenzione verso altro. E’ veramente imbarazzante e disagiante leggere, a volte, come i titoli riferiti ad una donna, ad una ragazza, cerchino di colpevolizzare la vittima e questo è davvero una cosa molto grave e malvagia… Da poco sta girando la notizia che, a Pordenone, c’è un uomo che si offre volontario per accompagnare le ragazze all’ultimo appuntamento e ha detto di aver ricevuto decine di chiamate…. ora, sicuramente bello e importante il suo gesto e, forse, in certi casi, necessario ma, da un punto di vista sociale e morale, è una sconfitta immensa per la società e per gli uomini in particolare… se ci pensiamo ancora meglio, è qualcosa di molto grave: cioè è necessario che sia presente una guardia del corpo ad un chiarimento tra un uomo e una donna? Ma allora questo vuol dire che la nostra è, purtroppo, sotto alcuni punti di vista, una società malata e la cosa grave è che, a volte, non ce ne rendiamo neanche conto di quanto la nostra mentalità possa essere inquinata da atteggiamenti sbagliati e da giustificazioni inammissibili.
    Sono d’accordo con quanto dici tu: bisogna lavorare a monte e bisogna, per quanto possibile, estirpare il male dalle radici, lavoro che, in primis, dovrebbero fare anche le famiglie

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  • 4 Maggio 2025 in 16 h 48 min
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    Grazie per la tua profonda analisi, aprendo ad un orizzonte, per me adulta anagraficamente, inedito. I media non ci aiutano a smontare una mentalità del possesso della vita altrui che se si pensava raggiunta nella pratica grazie all’emancipazione femminile e alle leggi duramente ottenute in tutela, nella pratica ne siamo ancora distanti, anzi direi che la banalizzazione della vita, della sua dignità attraverso tanti programmi TV, videogiochi, film e altri mezzi di comunicazione ci sta allontanando o confondendo dal conseguire realmente questo obiettivo.

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