PKD/Costruttore di Mondi #5: Ad ognuno la sua distopia!
del prof. Lucio Celot

P.K.Dick, Occhio nel cielo (1957)
Le mie opere parlano di mondi allucinati,
di droghe che intossicano e illudono & di psicosi.
Ma le mie opere agiscono da antidoto – disintossicante, non intossicante.
(PKD)
Scritto da PKD con grande raffinatezza filosofica quando aveva appena ventotto anni, Occhio nel cielo può essere considerato una sorta di thriller fantascientifico sul tema degli universi alternativi e sulla domanda che ossessivamente PKD rivolse a se stesso per un’intera vita: Cos’è reale e cosa no? Non sono solo i gruppi di potere a costruire ideologicamente la realtà (come abbiamo già visto ne L’uomo nell’alto castello e in Tempo fuor di sesto) ma anche l’uomo comune può concretamente manifestare la propria natura psicotica, naturalmente per mezzo della sci-fi che rende scientificamente plausibile anche l’improbabile, imponendo agli altri individui il proprio pseudouniverso e il proprio punto di vista sul mondo.
È quello che succede agli otto protagonisti del romanzo che restano vittime di un incidente mentre visitano un “bevatrone” (una sorta di acceleratore di protoni) proprio nel giorno in cui la macchina viene inaugurata: precipitati dalla passerella che stavano percorrendo al momento del sinistro, fortunatamente cadono sulla rete di protezione sottostante. Mentre giacciono feriti in attesa dei soccorsi, dunque in un tempo oggettivo di qualche minuto, sperimentano i mondi soggettivi di quattro di loro, si trovano cioè a vivere in altrettanti universi che non funzionano più secondo le leggi conosciute della fisica ma secondo il punto di vista, le manie, i pregiudizi di ognuno dei quattro “costruttori” dei rispettivi mondi, che di quelle realtà diventano i tiranni assoluti. Così, abbiamo per primo lo pseudomondo di Arthur Silvester, un fanatico religioso, nel quale ogni peccato viene immediatamente punito, con le preghiere si ottiene qualunque cosa (anche fare funzionare un distributore automatico di sigarette) ed è possibile perfino incontrare lo stesso Dio (il “Tetragrammaton”) sotto forma di un enorme occhio che scruta l’umanità (da qui il titolo originale, Eye in the Sky); poi è la volta del mondo vittoriano, perbenista e sessuofobo di Edith Pritchett, in cui donne e uomini sono privi di organi sessuali e qualunque realtà infastidisca o non piaccia alla “padrona” di questo mondo viene fatta sparire (l’URSS non c’è più, le fabbriche sono fatte sparire, qualunque cosa produca rumori molesti è semplicemente abolita); il gruppo si ritrova poi nel mondo paranoide di Joan Reiss, un mondo di autentici “orrori predatori” e mostri che si nascondono dietro ogni angolo (o nella cantina di una casa che diventa essa stessa un organismo vivente che divora chi la abita), pronti ad afferrare e divorare chiunque; infine, una “fantasia comunista”, un mondo di lotta di classe esasperata, costruita sui peggiori luoghi comuni anticomunisti dell’America del maccartismo (il romanzo è del ’57) e della “paura dei rossi”. Il gruppo deve capire, in ognuno di questi mondi, chi ne è “l’artefice” e tentare di renderlo innocuo (e provateci voi, se siete capaci di tenere testa a quattro angeli nerboruti e fortissimi che escono dallo schermo televisivo…)
Fin dalla presentazione dei personaggi, si capisce dove PKD vuole andare a parare: il tema è tutto politico (erano gli anni in cui lo scrittore era tenuto d’occhio anche dall’FBI per le sue posizioni radicali e marxiste), c’è aria di caccia alle streghe (Marsha, la moglie di Jack, il protagonista, è accusata di essere una simpatizzante comunista e per questo il marito viene licenziato dall’azienda governativa dove lavora), di fanatismo (religioso e ideologico), di “benpensantismo” ipocrita e di repressione sessuale. L’abilità di PKD sta nel costruire una narrazione “ibrida” che tiene assieme il contesto realistico dell’America degli anni ’50, il gotico, il fantasy, il novel suburbano e la sci-fi per raccontare la frammentazione e la disgregazione dell’american way of life, delle sicurezze dell’americano medio fatte di stereotipi che si traducono, nel romanzo, in distopie demenziali: il registro utilizzato da PKD è comico-parodico, debitore di Swift e dei Viaggi di Gulliver, tutto finalizzato alla denuncia dell’intolleranza, del razzismo, della propaganda e di ogni fondamentalismo. Le “quattro distopie” all’interno delle quali il gruppo deve districarsi hanno una natura totalizzante e totalitaria, sono il prodotto di “estremismi” che vogliono imporre la propria, distorta visione del reale: il riferimento al maccartismo non potrebbe essere più esplicito.
E a nulla serve, dentro un romanzo che cita con grande disinvoltura Platone, Hume, Kant, Marx, Jung e i Veda, tentare quello che potremmo chiamare l’appello alla metafisica, la ricerca di una “sostanza” dietro il fenomeno, di un essere dietro l’apparire: tentazione tanto più illusoria quanto più realizziamo, con il Filosofo, che col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente. Non ci sono più le quinte dietro al palcoscenico, il mondo si rivela per quello che è, mera volontà di potenza in cui la “verità” non è altro che una forma di violenza che ha avuto la meglio su tutte le altre.
P.K.Dick, Occhio nel cielo, Fanucci 2015