THE LAST OF US, UNA STORIA DI SOFFERENZA E UMANITA’

di Andrea Fusco (IIE)

I vocaboli per descrivere The last of Us, fiore all’occhiello di Naughty Dog, non sono mai abbastanza. Non per caso l’idea di Neil Druckmann, padre della serie, nonché sceneggiatore del progetto stesso, è ad oggi la più premiata dell’industria videoludica.

I due titoli della saga, usciti rispettivamente nel 2013 e nel 2020, possono essere considerati rivoluzionari per questo medium sotto diversi punti di vista: primo tra tutti è l’aspetto psicologico dei personaggi, mai tanto approfondito e sviscerato in un videogioco prima d’ora.

Con ciò si sposa perfettamente una grafica iperrealistica che dona alle parti più incentrate sulla narrazione una nota cinematografica: asso nella manica di Naughty Dog sono sicuramente le espressioni facciali, perfettamente ottimizzate soprattutto nel remake del primo capitolo in cui è stato sfruttato il nuovissimo Tempest Engine di PS5. Grazie a questo e ad un ottimo lavoro di world building, che offre al videogiocatore suggestive ambientazioni in cui avventurarsi, l’immersione nel mondo di gioco è massima.

Inoltre, non si può non citare l’egregio lavoro eseguito per la colonna sonora, realizzata dal compositore Gustavo Santaolalla, vincitore due volte dell’Oscar proprio alla miglior colonna sonora. Azzeccata è stata anche l’adozione di alcune canzoni, tra cui “True Faith” dei New Order, “Future Days” di Pearl Jam e “Through the Valley” di Shawn James, che accompagnano le emozioni dei personaggi per il loro viaggio.

Fatta questa premessa, rimane però una domanda: cosa rende The Last of Us così apprezzato?

Druckmann ha scelto di inscenare in questi due titoli ogni sfaccettatura dell’umanità: l’uomo è amore, ma anche odio, è perdono, ma anche rancore, è razionalità, ma anche istintività. Insomma, l’uomo può essere qualcosa e anche il suo esatto contrario: è un essere complesso. Detto ciò, lo sceneggiatore pone il videogiocatore, nel corso della trama, davanti ad interrogativi a cui è difficile rispondere su due piedi: cosa succederebbe in un mondo allo sbaraglio, dove ogni morale e etica devono cedere il posto alla necessità di sopravvivere? Quali azioni sarebbero reputate giuste e quali sbagliate? Esistono azioni assolutamente giuste in un mondo del genere? Chi è veramente egoista quando si è costretti a sopravvive a discapito dell’altro e chi, allora, è vittima? Può esserci un motivo per continuare ad andare avanti in un mondo senza speranza?

La storia di The Last of Us inizia nel 2013, anno in cui il fungo parassita Cordyceps, mutato geneticamente, dilaga ora anche tra gli umani, dando il via a una vera e propria pandemia. Questo infesta l’ospite, rendendolo simile a uno zombie, facendo sicché l’infezione si propaghi. E non c’è cura. L’umanità, decimata, è costretta in zone di quarantena dove si tenta di ricostruire quella civiltà ormai perduta. Al di fuori di queste non attende altro che la morte.

Ma questo è solo il palco su cui si svolgono gli eventi della trama. La storia di The Last of Us ci racconta di Joel, ex-padre inasprito dal mondo in cui vive, ed Ellie, ragazza orfana che sembra essere la soluzione per il male che sta affliggendo l’umanità.

Ellie è nata in un mondo che non ha nessun modo di tornare come un tempo, un tempo che ha conosciuto solo attraverso i libri e le parole dei più grandi. Joel invece ha vissuto il mondo pre-pandemia e, avendo visto e commesso atti atroci per sopravvivere, ha perso ogni fiducia nell’uomo e nel ritorno alla normalità di una volta.

I due, costretti a viaggiare insieme per gli USA, troveranno alla fine ciò che uno ha perso e ciò che l’altra non ha mai avuto: qualcuno per cui andare avanti anche in assenza di speranza, per cui lottare.

 Ma questa è una fioca luce nella realtà tanto oscura in cui il duo tenta di barcamenarsi. L’umanità, abbandonata a sé stessa, cerca di sopravvivere con tutti i mezzi possibili, anche la violenza. Ed Ellie e Joel non ne sono esenti.

 Ognuno agisce per propria necessità, essendo tutti costretti a vivere in un mondo basato sul concetto “mors tua, vita mea”. In questo modo si creano dinamiche in cui nessuno delle due parti ha torto perché entrambe non fanno altro tentare di sopravvivere. Ciò causa così un ciclo continuo di violenza e vendetta che alla fine non lascia altro che sofferenza. Sarà proprio questo il motivo della dipartita dell’uomo, che se ne andrà lasciandosi alle spalle una Ellie che ha troncato i rapporti con lui a causa di problemi passati di cui non le ha mai parlato. 

“My morning sun is the drug that makes me near to the childhood I lost, replaced by fear” cantavano i New Order, e lo stesso farà la ragazza suonando la chitarra. Effettivamente, quasi come una droga, il legame tra i due le ha regalato per un certo periodo la spensieratezza che da piccola non aveva mai potuto provare per la sola “colpa” di essere nata in quel mondo ormai tanto cinico ed egoista.

La sofferenza, che sembra dunque essere l’unica conseguenza a ogni azione dei personaggi, spinge la ragazza ad andare alla ricerca degli assassini di colui che per lei era ormai come un padre. Solo nel finale, consumata dal rancore, la protagonista capisce come lo sgomento da lei provato sia causato dalla mancata possibilità di poter perdonare Joel. Il perdono, inteso come rinuncia alla rivendicazione dei torti subiti, avrebbe non solo fatto sentire la ragazza in pace con sé stessa, ma sarebbe stato la soluzione alle atrocità, che l’umanità ha subito e allo stesso tempo compiuto, dovute in fondo ad un inevitabile ed imprevedibile caso da cui l’uomo non ha potuto difendersi minimamente, costretto alla sofferenza e alla convinzione di non poter più tornare alla serenità di un tempo, costretto a uccidere altri uomini, anche contro la propria volontà, per salvarsi.

In conclusione, The Last of Us è una storia di persone e di scelte, né giuste né sbagliate, ma comprensibili, seppur atroci. Tragico è il fatto che nessuno si salvi dalla sofferenza, neanche chi è innocente. Nonostante ciò, sembra che si trovi una risposta per affrontare il dolore, che però non riuscirà mai a lavarlo via. Il perdono è, forse, in questo caso, salvezza dalla brutalità umana.

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