I Classici da rivedere #15 La stralunata guerra della famiglia “marxiana” – La guerra lampo dei fratelli Marx (L.McCarey, 1933)
del prof. Lucio Celot
Signori della corte,
può essere che Chicolini parli come un idiota
e abbia una faccia da idiota ma non lasciatevi ingannare:
è veramente idiota!
(Rufus T.Firefly)
Anarchici, irriguardosi, irriverenti, iconoclasti, surreali, demenziali e chi più ne ha…non ci sono aggettivi a sufficienza per qualificare la più strampalata e geniale famiglia di attori con cui Hollywood ha avuto (suo malgrado, verrebbe da dire) a che fare proprio negli anni in cui, dopo il “traumatico” passaggio dal muto al sonoro, le major portavano a termine la strutturazione dello starsystem con il conseguente strapotere dei produttori che tagliavano, montavano e stravolgevano a proprio piacimento il lavoro dei registi, non ancora considerati “autori” a tutti gli effetti ma semplicemente una parte del complesso meccanismo con cui funzionava la “macchina dei sogni” hollywoodiana.
Non deve essere stato facile per Leo McCarey, regista apprezzato già negli anni ’20 per avere diretto molte comiche di Laurel e Hardy (Stanlio e Ollio per noi italiani), controllare e imporre un minimo di ordine all’esuberanza anarcoide e ingovernabile di Groucho, Harpo e Chico (in verità in Duck Soup c’è anche il quarto fratello, Zeppo, in una parte marginale. Il quinto, Gummo, aveva già lasciato il cinema da tempo), qui nel loro imperdibile capolavoro del ’33. In un’Europa non storicamente individuabile (ma, in ogni caso, va ricordato che il ’33 è l’anno in cui l’ex caporale autore del Mein Kampf prende il potere in Germania), il governo dello stato di Freedonia è affidato a Rufus T.Firefly (interpretato da Groucho), un dittatore illiberale e folle che mira semplicemente al potere e al denaro della signora Teasdale, una ricchissima borghese che si è invaghita di lui e che si ostina a definirlo “progressista”. Contemporaneamente, l’ambasciatore dello stato di Sylvania mira a conquistare Freedonia e perciò assolda, oltre alla consueta femme fatale che dovrebbe sedurre Rufus e carpirgli decisivi segreti di stato, due improbabili spie, Chicolini (Chico, doppiato in italiano con un’inflessione sarda o giù di lì) e Pinky (Harpo: come sa bene chi conosce i Marx, Harpo non parla ed è il “guastatore” del gruppo, oltre che il più sensibile al fascino femminile…). Provocato a oltranza da Firefly, l’ambasciatore di Sylvania dichiara guerra a Freedonia che, nonostante la palese incapacità del suo capo, uscirà vincitrice dal (brevissimo) conflitto.
La guerra lampo è un fuoco di fila, concentrato in poco più di un’ora, di sketch, gag, comicità di corpo e di parola, battute nonsense, rovesciamenti semantici, urti tra significato letterale e metaforico della stessa parola, ricorso a situazioni da film muto, parodia della commedia sofisticata alla Lubitsch (l’ambientazione, non lo si dimentichi, è mitteleuropea), sberleffo impietoso al potere, satira dell’incapacità delle diplomazie a governare i rapporti tra stati, disconoscimento dei Grandi Valori quali la politica, la giustizia, l’amor patrio, la lealtà. Si capisce bene perché il film non fu un successo quando uscì (e in Italia ne fu proibita la proiezione) ma si capisce altrettanto bene perché fu riscoperto e rivalutato, e da quel momento divenne un cult assoluto, negli anni ’60, in piena contestazione giovanile e durante le proteste contro la guerra del Vietnam che incendiavano le piazze di tutto il mondo. Aldilà della lettura politica che ne venne data, il film resta la summa della poetica da vaudeville con cui i Marx avevano iniziato la carriera artistica: “Siamo solo quattro ebrei che cercano di farsi una risata”, così liquidò il senso ultimo della pellicola il solito Groucho.
Ma in fondo, diciamolo: recensire un film dei Marx è una contraddizione in termini; preferiamo riportare, di seguito, un breve elenco delle battute e delle sequenze che hanno fatto de La guerra lampo uno dei film più significativi dell’antimilitarismo cinematografico, ben prima del Grande dittatore di Chaplin e di Orizzonti di gloria di Kubrick. E che dire del giudizio di Woody Allen, forse il regista contemporaneo più affine alla comicità iconoclasta dei Marx (e non solo per le comuni radici ebraiche dell’umorismo yiddish), secondo il quale “La guerra lampo dei fratelli Marx è uno di quei film che danno senso all’esistenza umana”?
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(Rufus alla signora Teasdale che gli dà il benvenuto a nome del popolo di Freedonia):
Lasci perdere queste sciocchezze: prenda una carta (le porge un mazzo di carte)
Può tenerla, me ne rimangono cinquantuno.
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(Rufus annuncia le sue future linee di governo):
Se pensate che questo paese è ora in pessime condizioni,
aspettate a vedere la fine del mio mandato […]
Se qualcuno verrà sorpreso a rubare senza darmi la mia parte,
sarà messo al muro.
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(Rufus rivolto all’ambasciatore Trentino):
Non dimentico mai un volto
ma nel suo caso sarò lieto di fare un’eccezione.
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(L’ambasciatore di Sylvania): Sono propenso a molte concessioni pur di evitare la guerra
(Rufus): Troppo tardi. Ho già pagato un mese di affitto per il campo di battaglia.
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(Rufus, proditoriamente chiuso a chiave in una stanza):
Fatemi uscire! Fatemi uscire da qui!
Oppure datemi qualcosa da leggere.
Affiderò questa faccenda al mio avvocato,
appena si laurea.
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(Chicolini relaziona l’ambasciatore Trentino sul pedinamento di Rufus):
Lunedì ci appostiamo davanti alla casa di Firefly, ma lui non esce: non era a casa.
Martedì andiamo alla partita, ma lui ci inganna: non viene.
Mercoledì lui va alla partita e l’inganniamo noi: non ci andiamo.
Giovedì c’erano due partite: non ci va nessuno.
Venerdì è piovuto tutto il giorno: non c’è stata partita, allora l’abbiamo seguita a casa per radio.
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(Rufus alla sig.ra Teasdale):
Ci vediamo stasera a teatro.
Le guarderò il posto finché non arriva.
Quando sarà arrivata, se lo guarderà da sé.
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La guerra lampo dei fratelli Marx (Duck Soup)
Regia: Leo McCarey
Distribuzione: USA 1933 (b/n, 70 min.)