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PoliticaMente: Donald Trump, Elon Musk e la battaglia di dazio

Di Donald, Elon e dei loro demoni

del prof. Lucio Celot

Il loro sembra un matrimonio perfetto, inscalfibile, destinato a durare: l’uno, il demagogo ad hoc che il popolo dei forgotten americani attendeva messianicamente per riportare l’America ad essere great again liberandola da immigrati clandestini, cultura liberal e woke, deep state corrotto e dispendioso; l’altro, il visionario più ricco della Terra che non solo darà manforte al Presidente nella sua opera di repulisti sociale, etnico e governativo ma che ci salverà tutti dai due grandi pericoli che minacciano l’umanità attuale – l’intelligenza artificiale e la politica inclusiva delle democrazie – prima conquistando e poi colonizzando Marte, il pianeta rosso che diventerà la nuova patria dell’Umanità. A ben guardare, però, e scavando qualche palmo al di sotto dell’entusiasmo con cui i due hanno dato avvio alla nuova età dell’oro (sic!) americana, le cose sembrano stare diversamente, tanto da potere azzardare che in futuro questa bella unione potrebbe dissolversi con un divorzio non proprio pacifico.

 

 Da sinistra: Elon Musk e Donald Trump alla casa Bianca

Guardiamo alla categoria politica (o impolitica) del trumpismo: è il risultato delle trasformazioni socio-economiche legate alla globalizzazione e al neoliberismo. Dopo quarant’anni di pax americana, la globalizzazione è entrata in crisi a causa di fattori come la pandemia di Covid-19, l’invasione russa dell’Ucraina e il protezionismo avviato da Trump con la sconsiderata guerra dei dazi con cui ha inaugurato la propria amministrazione; i dati macroeconomici mostrano una crescita diseguale del reddito a livello globale, con un forte sviluppo in Asia (Cina e India) e un rallentamento nei paesi ad alto reddito; c’è stato, infine, uno spostamento dal settore industriale verso il terziario, con una concentrazione dell’occupazione agricola nei paesi più poveri e un aumento delle disuguaglianze. In sintesi, se la globalizzazione ha ridotto la povertà in termini assoluti, d’altra parte ha anche accentuato le disuguaglianze interne ai paesi in termini di reddito e ricchezza.

Il trumpismo è la risposta politica scomposta e “di pancia” a queste dinamiche e si pone e propone demagogicamente come la radicale soluzione al malcontento di chi ha subito gli effetti negativi della globalizzazione e delle politiche neoliberiste. Pur nella sua rozzezza e bassezza morale (o forse proprio grazie a questi suoi caratteri), il tycoon ha stravinto le elezioni del 2024 sostenuto dal popolo dei traditi, degli arrabbiati e dei dimenticati d’America, quelli che odiano i liberal delle grandi città, i perdenti della new economy che hanno trovato nel miliardario vincente il leader carismatico in grado di condurre una nuova lotta di classe contro l’establishment neoliberista, responsabile della crisi economica che attanaglia la middle e working class americane ormai da quasi un ventennio. America first (o l’acronimo MAGA, Make America Great Again) è il mantra di questo nuovo revanscismo populista, la cui mission è abbattere i “demoni” che infestano il corpo sano della nazione e ripulire l’orizzonte dagli ostacoli che ne impediscono la rinascita: la concorrenza della Cina, gli immigrati, la cultura dell’inclusione, la filosofia gender, le questioni dell’identità e della sessualità non binarie, l’Europa nata per “fottere” gli USA e via andando. Sicurezza nazionale, America first, abbandono di una politica globale a favore di un ripiegamento che sa tanto di isolazionismo sovranista in opposizione frontale all’internazionalismo liberista (cooperazione tra stati e apertura dei mercati): sembrano essere queste le priorità della destra trumpiana una volta intercettato elettoralmente il malcontento degli americani.

Fight! Fight! Fight!

E Musk? Il tecno-miliardario apparentemente “organico” al trumpismo, tanto da essersi autocandidato a capo del DOGE, il neonato dipartimento per l’efficienza governativa (leggi: organismo che deve tagliare, tagliare, tagliare…) che ad oggi pare abbia licenziato qualcosa come centomila impiegati e funzionari statali, colpevoli solo di appartenere al deep state, l’apparato burocratico? Anche lui, quanto a demoni con cui combattere, non scherza. Le sue fissazioni sono note: l’intelligenza artificiale e la cultura woke. Lettore assiduo fin da giovane di Nietzsche, poi abbandonato per scrittori come Spengler, Toynbee e l’Asimov del “ciclo della Fondazione”, il biondino sudafricano ha maturato una propria filosofia della storia, secondo la quale l’umanità è soggetta a cicli biologici esattamente come gli esseri viventi: nascita, sviluppo, decadenza, morte. Pur convinto che quella attuale sia un’età di ascesa e di espansione, tuttavia Musk intravede molteplici segnali di pericolo da non sottovalutare, in primis lo sviluppo dell’A.I., autentica “minaccia esistenziale” manipolatrice delle nostre coscienze (nota bene: lo dice l’uomo che è diventato il più ricco del mondo GRAZIE all’A.I.!!!) a cui Musk ha risposto con la fondazione di Neuralink, l’azienda il cui scopo è il potenziamento cognitivo dell’umano (lo Übermensch nietzsciano 4.0?), lo sviluppo della “capacità mentale biologica” contro quella digitale; se non bastasse, è pronto anche il progetto SpaceX, nientemeno che la migrazione dell’umanità su Marte dove, coerentemente con le teorie dei cosmisti russi e di Bogdanov che il “genio visionario” ha letto da giovane, verrà instaurata una società all’insegna dell’utopia socialista.

Ma nella testa di Musk altri demoni si agitano: la cultura woke e dell’inclusione, responsabile della cancel culture e della perdita della libertà di parola in occidente, affossa la meritocrazia nelle università e nelle aziende? Niente paura: c’è X, il vecchio Twitter, che crea finalmente uno spazio libertario di discussione in cui è possibile costruire un’egemonia culturale che denunci e estirpi una volta per tutte il politically correct e dia libero sfogo a qualunque forma di negazionismo e teoria del complotto. Insomma: Musk è l’uomo che sessant’anni dopo JFK torna a esortare gli americani alla loro americanissima tradizione, quella di sfidare e allargare le frontiere, della mente (Neuralink), della libertà (X), di tutta l’umanità (SpaceX). Dunque, una mission universalista che mal si concilia con l’America first trumpiano. E dunque?

Da sinistra: Elon Musk e Javier Milei

La tensione tra il protezionismo trumpiano e il cosmismo tecnologico di Musk potrebbe rappresentare il punto di rottura tra un presidente che vuole chiudere l’America dentro i suoi confini per renderla di nuovo grande e un tecnocrate che vorrebbe salvare l’umanità dalla sua decadenza portandola nello spazio. Populismo contro futurismo; capitalismo protezionista contro capitalismo iper-globalizzato (la Tesla è stata delocalizzata in Cina…); narrazione populista contro narrazione tecnocratica sono le contraddizioni che potrebbero portare ad un divorzio non necessariamente consensuale. I due volti dell’America in crisi si nutrono della stessa retorica, quella della “minaccia esistenziale” interna ed esterna ma propongono soluzioni antitetiche: il ritorno al passato isolazionista, lo slancio tecno-utopico nel futuro. Quando questi due estremi non potranno più convivere e cesseranno di alimentarsi a vicenda, la lotta di potere che ne deriverà avrà effetti imprevedibili ma certamente catastrofici, non solo per il continente americano.

La battaglia di dazio

Luigi Iossa

Se già prima gli equilibri politici erano deboli, con l’arrivo di Donald Trump alla casa bianca la bilancia della geo-politica e dell’economia si è completamente ribaltata.

Un eroe, un demagogo, un messia, un razzista, un pazzo, non si sa cosa sia Donald Trump, ma per gli americani è tutto questo e anche altro, i grandi elettori e il voto popolare hanno scelto nuovamente lui come presidente degli Stati Uniti D’America e questo ci dovrebbe far riflettere sulla lucidità del popolo americano, dilemma del quale non mi occuperò.

Trump è anche un attore senza maschera, è riuscito a costruire un racconto, dai tratti mitici sulla sua figura, è l’emblema più schietto della decadenza della classe dirigente degli States, deportazioni, dazi, guerre e neo-liberismo sono gli elementi che hanno convinto i cittadini americani a seguire il piano di sanificazione degli U.S.A. messo su da Donald Trump.

Il nuovo presidente americano è stato capace, e questo gli va riconosciuto, di aver messo in mostra tutti gli orrori della politica americana, che ad alcuni erano ancora velati, foraggiare guerre e depredare territori sono delle prerogative che accompagnano da sempre gli interventi degli States, Trump è riuscito però a rendere chiare queste prerogative, senza montare una scenografia idilliaca per coprirle, come spesso hanno fatto altri suoi colleghi; da questa “sincerità” trumpiana però si possono trarre dei vantaggi, forse, finalmente, molti convinti sostenitori degli Stati Uniti d’America potrebbero vedere la verità su un paese che in fin dei conti non è tanto diverso da noi.

L’economia americana va a rotoli, e lo fa da diversi anni, anche durante i primi anni dell’amministrazione Obama, il sistema giudiziario è oramai decadente, l’informazione è completamente plasmata a usi e costumi della maggioranza, il presidente zittisce giornaliste e giornalisti a suo piacimento, accetta solo le domande comode e quelle scomode, semplicemente adotta la tattica grillina, manda a quel paese.

Quindi alla fine anche negli States esiste una sorta di tele-Meloni, una tele-Trump, per l’esattezza. L’unica rete democratica, a detta di Trump e dei suoi sodali, è Fox News, un po’ come da noi con la rai meloniana.

Forse è finita l’età del sogno americano ed è iniziata quella del bisogno americano, che nasce con i dazi che l’amministrazione Trump ha imposto sul mercato mondiale, facendo crollare i mercati europei e non solo, la borsa di Francoforte (notoriamente la più efficiente d’Europa) ha chiuso al -9, Milano al -7,6, anche in Indonesia e in molti stati europei la situazione è simile, se non addirittura peggiore.

Non si sa quali saranno gli effetti interni agli U.S.A. di questa scellerata politica economica, ma potrebbe portare ad un isolamento degli States, chiudendo il proprio mercato su sé stesso, oppure potrebbe portare alla risoluzione delle difficoltà economiche americane, potrebbe anche rappresentare la fine di uno scellerato capitalismo che ha eroso il mondo intero.

Non si sa quali saranno gli effetti, ma sicuramente ci saranno, non si sa cosa farà l’Europa ma sicuramente dovrà fare qualcosa, “do something” come direbbe Mario Draghi.

Intanto la democrazia è diventato un optional della politica mondiale e questo è forse il problema più grave.

Fonti:

M.Revelli, Populismo 2.0, Einaudi 2017;

F.Chiusi, L’uomo che vuole risolvere il mondo. Critica ideologica di Elon Musk, Bollati Boringhieri 2023;

G.De Ruvo, Nella testa di Elon Musk, in “Limes” 12/2024, pp.73-94;

G.La Torre, Trumpismo, frutto avvelenato del neoliberismo, in “Limes” 12/2024, pp.161-1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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