La Mascolinità Tossica: dalle radici classiche alla piaga attuale
di Sara Madrid (3F)
“Ti comporti come una femminuccia” “Fai l’uomo di casa” “I ragazzi non piangono”
Quale ragazzo di qualsiasi generazione non ha mai sentito rivolgersi queste frasi così dure ripetute a mo ‘di slogan?
Forse tu, proprio tu, ragazzo all’ “ascolto” pensavi di essere stato l’unico a essere sgridato per aver giocato con delle bambole insieme alla tua sorellina o aver provato a indossare quel meraviglioso abito a fiori di tua mamma… allora questo articolo potrebbe modificare la tua visione delle cose! Perchè esatto, queste frasi non sono semplici rimproveri o frasi di circostanza ma possono essere tutte riconducibili a un fenomeno noto come “Mascolinità Tossica”.
Secondo una definizione del New York Times, la mascolinità tossica è “un insieme di comportamenti e credenze che comprendono il sopprimere le emozioni, mascherare il disagio o la tristezza, il mantenere un’apparenza di stoicismo, e la violenza come indicatore di potere”.
Tra gli anni ‘80 e ‘90, fu uno psicologo, Shepherd Bliss, a coniare per primo il termine “mascolinità tossica” al fine di indicare una serie di norme e comportamenti che, nell’immaginario comune, vengono associati all’idea di “essere uomini”, mostrando come questa tendenza non solo sia inadatta, ma perfino dannosa, per gli uomini stessi, le donne e l’intera società.
In particolare, i tratti che Bliss definiva come “tossici” per la mascolinità, includono “l’evitare di esprimere emozioni”, il “trasporto esagerato per il predominio fisico, sessuale e intellettuale” e la “sistematica svalutazione delle opinioni delle donne, sul loro corpo e sulla loro esistenza”.
Nonostante il termine e il suo utilizzo siano recenti e attuali più che mai, queste norme di comportamento predefinite esistono da millenni e potrebbero persino essere riconducibili all’antica Grecia. Il modello di “maschio” ideale che richiede forza (fisica e psicologica), indipendenza, orgoglio e controllo è molto simile alla figura dell’eroe Omerico, pedina di un sistema marcio e arcaico quale quello della “Civiltà della Vergogna”, dove l’uomo era stimato per le sue azioni e comportamenti che dovevano essere in linea con le aspettative della società.
Da qui emergono personaggi come Agamennone, Achille, Menelao, Ettore e tutti gli altri eroi, disposti a tutto pur di ottenere il κλέος e non disonorare il γένος, disposti a odiare, lottare, morire pur di non apparire deboli; disposti ad abbandonare la loro patria, la loro famiglia, gli affetti; obbligati a non piangere, a non lamentarsi; incarcerati in un regime che prevede la competizione e l’affermazione della violenza sull’altro, sulle donne e soprattutto su se stessi.
È il mito del “maschio alpha”, che, radicato in noi dall’alba della civiltà, non è neanche un modello da seguire, bensì il minimo sindacale da rispettare per essere riconosciuti come uomini.
Questo tipo di descrizione di virilità maschile ha tolto agli uomini la possibilità di esprimere liberamente l’emotività, ha tolto loro il diritto alla fragilità, alla gentilezza, alla sensibilità o all’empatia richiedendo invece costanti dimostrazioni di rivendicazione e esercizio del potere.
È un modello indiscutibilmente sbagliato che porta alla perpetuazione dell’odio e vieta il conseguimento di una vita adeguatamente felice e tranquilla: non a caso è la prima causa di suicidio tra gli uomini ed è il motivo per cui ogni giorno sentiamo in tv e radio o leggiamo sui giornali episodi di violenza domestica, abusi sessuali, femminicidio e omofobia.
La mascolinità tossica va combattuta, ora e per sempre, con l’educazione dei bambini all’affettività, al rispetto e al consenso, augurandoci con tutto il cuore (e tutta la rabbia del caso) di trovare uomini migliori nel mondo di domani… uomini disposti ad ascoltare e ad essere ascoltati, amare ed essere amati senza vergogna e senza paura.
(basato sul corso tenuto dalla sottoscritta e da Francesca Tierno 2F durante la settimana dello studente)