Atto di Indirizzo del nostro Liceo

Pubblichiamo di seguito l'”atto di indirizzo” del nostro Liceo, redatto dal nostro D.S. Salvatore Pace, e visionabile anche sul sito del Liceo cliccando qui.

  1. Intorno al concetto di liceo classico.

 

Fin dal 2000, anno in cui è cominciata l’esperienza dell’autonomia nella scuola italiana, il Collegio dei Docenti del Pansini decise di non attivare altri indirizzi di studio. Il liceo Pansini resta, infatti, uno dei pochi licei napoletani ad essere esclusivamente liceo classico.

 

Questo perché riteniamo che gli studi classici non consistano soltanto nella mera acquisizione di competenze linguistiche in Greco e Latino: il liceo classico si nutre di un clima educativo concentrato sul recupero dei “valori” della classicità, della loro attualizzazione. Infatti, non avrebbe senso recuperare il ricordo di una civiltà senza avere memoria anche dei suoi fondamenti morali, estetici, religiosi, del “senso della vita” di uomini e donne che hanno concretamente vissuto il proprio tempo. Il liceo classico italiano è l’unica esperienza al mondo, l’unico spazio educativo e di crescita in cui sia possibile recuperare il senso profondo di una Humanitas che non ha più, o sembra non avere più, ai nostri tempi, diritto ad essere.

 

È per questo che abbiamo voluto che l’intera scuola fosse concentrata esclusivamente sull’assetto disciplinare e sul metodo di studio proprio del  classico, facendo convergere su di esso tutta l’energia,  tutte le intenzioni e tutta l’intensità del suo lavoro: anche il potenziamento dell’offerta formativa, ivi comprese le obbligatorie attività di alternanza scuola lavoro,  sono pensate per approfondire,  per meditare e rielaborare,  per sperimentare  quanto le discipline curricolari del liceo classico offrono.

 

  1. Accezione di educazione classica

 

Sarebbe comunque fuorviante ritenere che nell’orizzonte della cultura classica siano secondarie le discipline scientifiche: se c’è una cifra caratteristica di tutta la civiltà greco-latina, è quella di aver strutturato i fondamenti del pensiero scientifico occidentale ed aver colto la profonda relazione tra  l’impegno etico e le discipline per determinarne finalizzazioni ed ambiti di ricerca.

Per quanto oggi siano di moda termini e locuzioni in Inglese (il moderno “latinorum” manzoniano fatto per gabbare gli umili senza dire nulla), ci aiuta ricordare che il liceo classico nasce su un fondamento ontologico personalistico (il ”per se unum” di San Tommaso, radicale negazione – e “scandalosa” – ,  capovolgimento del paradosso consumistico della definizione dell’Uomo a partire dai bisogni indotti dal mercato)  di enkýklios paideîa  “educazione circolare” in cui (contrariamente all’approccio ed all’interpretazione gentiliana) appare inconcepibile la frammentazione disciplinare dei saperi letterari, artistici, tecnici e scientifici.

La grottesca caricatura delle competenze (cui al Pansini abbiamo resistito grazie all’intenso lavoro dei nostri dipartimenti e l’abnegazione delle nostre referenti, che ci hanno permesso di elaborare un protocollo serio e centrato sul concetto autentico di competenza) ci è, per fortuna, estranea. Benché non monetizzabile sul mercato delle iscrizioni, perché complesso e multidisciplinare, il percorso di certificazione delle competenze che abbiamo messo in moto al Pansini resta un patrimonio didattico da difendere ad ogni costo.

 

  1. Mercato, famiglia, scuola

 

Paradossalmente, educare al rispetto dell’altro educare alla ricerca di un significato più profondo dell’esistenza, che non sia quello meramente economico e della ricerca del successo e del piacere, oggi sembra non incontrare più il favore delle famiglie: non è, infatti,  conforme alle richieste del “mercato” una scuola che educhi a porre domande più che a cercare risposte preconfezionate,  che educhi ad interrogarsi sul senso delle proprie azioni,  sul senso della Scienza sul senso della Cultura e sul senso – più in generale -dell’Uomo nel suo tempo.

 

Un tale tipo di scuola passa attraverso lo studio metodico ma non asfissiante, sistematico, l’educazione quotidiana all’onestà intellettuale ed alla correttezza dei comportamenti. Abbiamo bisogno di famiglie che ci siano vicine per far comprendere ai ragazzi la serietà dello studio, la bellezza della scoperta e la fiducia verso chi è chiamato ad operare per la loro educazione. Nuoce alla crescita dei ragazzi la ricerca di scorciatoie, la difesa di comportamenti fondati sull’inganno (copia, assenze strategiche….) , il continuo rancoroso paragone con “gli altri”, atteggiamenti e pratiche purtroppo molto diffuse tra gli studenti e che spesso le famiglie, per un malinteso senso di “protezione” assecondano, talvolta con preconcetta veemenza, come se la scuola fosse una controparte.

 

La famiglia, invece, è fondamentale è centrale nel costruire con la Scuola un patto in cui si ha al centro il ragazzo inteso come persona che cresce e che acquisisce lentamente ciò di cui ha bisogno per la sua esistenza adulta. Al contrario, invece, ecco proliferare proposte molto discutibili quali il liceo classico in quattro anni oppure un liceo classico semplificato, denaturato della del suo studio filologico e della sua profondità antropologica.

 

Tali atteggiamenti sono purtroppo riconducibili alla ormai radicata delegittimazione della Scuola ed il suo essere stata piegata alla dura legge del mercato, che impone la lotta tra le scuole per cui, se vuoi sopravvivere, devi essere comunque più appetibile di altri; si finisce così con educare alla scelta più rapida, alla scelta più semplice e redditizia: il massimo risultato col minimo sforzo. Quello che resta è, appunto, un consumatore pronto per il mercato. Il Cittadino è un’altra cosa.

 

  1. Mutamenti degli assetti cognitivi

 

Ma la scuola e i docenti devono fare molto. Ormai, sono attendibili e maturi i primi studi scientifici sui nativi digitali e le neuroscienze stanno ponendo alla Pedagogia enormi problemi di riassetto.

La logica sequenziale (quella, per intenderci, delle tassonomie organizzate per passaggi graduali e raggruppamenti descrittivi omogenei, della stesura dei fenomeni e dei concetti sugli assi spazio tempo, quella dei libri e della costruzione progressiva della complessità) non è più quella stimolata dall’ambiente e, dunque, preferita dai nostri ragazzi. Prevale l’uso del rapporto visuale con lo schermo multitasking (più operazioni simultaneamente)  proprio dell’universo   digitale, la “logica” random (casuale) che sollecitano aree cerebrali diverse da quelle dell’apprendimento verbale, scritto e orale, di per sé disteso sul piano spaziotemporale: le aree cerebrali dell’operatività visiva e dell’associazione di idee appaiono, nelle popolazioni indagate, più sviluppate in seguito a stimoli coerenti e costanti ricevuti dai soggetti fin dalla nascita.

 

I gradi scolastici inferiori da tempo hanno abbandonato l’idea di studio come riflessione analitica. Le norme e le indicazioni nazionali (di per sé ridondanti, velleitarie e spesso contrastanti tra loro) hanno indotto alla banalizzazione del concetto di competenza a cui la scuola si è pedissequamente conformata (esempio tragico è, al riguardo, anche l’esperienza dell’Alternanza Scuola Lavoro) ed si è teso a mistificare l’apprendimento come fatto esclusivamente intuitivo della superficie dei fenomeni. Spesso il concetto di “laboratoriale” si è applicato in maniera occasionale ed estrinseca.

 

Il problema, in realtà, nasce da lontano. Le carenze grammaticali, sintattiche, costruttive che riscontriamo in maniera massiccia e crescente nei nostri neoiscritti, nascono da lontano. A mo’ di mero esempio, si pensi all’ignoranza che ha indotto da tempo la scuola ad abbandonare l’idea che, in età di pensiero operativo concreto, l’apprendimento non passi anche attraverso lo sviluppo dell’intelligenza pscicomotoria: a sei anni, la strutturazione dello schema spaziotemporale si struttura soprattutto organizzando gli schemi mentali dell’incolonnamento e della successione. Le reti di sinapsi attivate con la conoscenza di una “cosa” nuova si stabilizzano e si strutturano in “reti di reti” neuronali grazie alla ripetitività e l’automatizzazione delle reazioni cerebrali e, dunque, dei processi logici: la “forma” della conoscenza è il suo recipiente. Non è indifferente quando, in quale età evolutiva, questo recipiente cominci a prendere forma.

Aver applicato come apprendisti stregoni e senza conoscerli se non gli esiti della ricerca pedagogica (metodo globale, centri d’interesse, attivismo, creatività…) ha privato i nostri bambini di potenti mezzi espressivi e di comprensione della realtà. A questo servivano gli esercizi di prescrittura con pagine di bastoncini, cerchietti e poi di lettere e numeri, poi le numerazioni e la centratura del quadratino, le pagine di parole ripetute in colonna, lo studio delle poesie a memoria, il tener fermi i riferimenti di date e luoghi nello studio della Storia e della Geografia.

 

Nella realtà, come ricordato prima, sul piano neuronale gli “schemi mentali” si sviluppano dalla fase concreta a quella operatoria e poi a quella logica, sulla base di consolidate reti di sinapsi. In questo scenario – che dovrebbe già essere formato e solido a 14 anni – interviene lo studio del liceo classico che richiede di impiantare coerentemente la logica delle lingue classiche, della Matematica, della Filosofia e delle scienze positive. Ma, per i nostri studenti, lo scenario è tutt’altro che consolidato: oggi, si pretende che gli studenti siano in grado di costruire una cattedrale senza sapere che è fatta di mattoni, che suonino una sinfonia perché hanno suonato il flauto traverso di plastica alle elementari; così si accetta che su fb se ne sappia di più sui vaccini che non negli istituti di ricerca.

Se i docenti non capiscono queste difficoltà, non possono adeguarsi alla realtà e rischiano di insistere con metodi inefficaci e selettivi, con strumenti ed aspettative del tutto fuori dal mondo.

 

Per inciso, appare del tutto negativo l’uso di gruppi di WhatsApp tra i genitori in cui nascono leggende metropolitane, si “randomizzano” (cioè si elaborano “a vento”) i giudizi sui professori, si interviene con dinamiche spesso del tutto infondate sulla realtà della classe: si costruisce, in una parola, un universo parallelo e spesso fantasioso sulla realtà umana e le difficoltà degli studenti. Ancor più devastante, incomprensibile e pernicioso è l’utilizzo da parte dei docenti dei gruppi WhatsApp per informare gli studenti di interrogazioni e compiti, per ottenere giustifiche o – addirittura – avvisare della propria assenza o comunicare voti. Pratiche su cui andrebbe fatta una riflessione molto seria anche sul piano giuridico e che è alla base degli avvisi che vi ho prodotto sulla non legittimità di questa pratica da parte dei docenti sia sul piano deontologico che giuridico.

 

La riconversione e l’aggiornamento pedagogico sono per i docenti una necessità assoluta e primaria. Senza una nuova didattica, il Greco, il Latino, le Scienze umane matematiche e positive, sono perse. Bisogna, con enorme umiltà, capire che studiare come abbiamo studiato noi non è più possibile e non perché in nostri studenti siano stupidi o in mala fede.  Anche per noi è arrivato il momento di studiare, riflettere, confrontarsi tra colleghi, dentro e fuori dal Pansini, sui nostri strumenti educativi.

 

  1. Strategie  per il  Pansini

 

Il vostro Preside non ha nulla da insegnarvi né da imporvi. I tecnici della didattica – per legge e per competenze possedute – siete voi. A me non resta che segnalarvi la grande difficoltà che abbiamo a “stare sul mercato” e questo per due motivi:

  1. il nostro rifiuto del mercato e delle sue regole cannibalesche;
  2. la disomogeneità dei nostri docenti sia in ordine ai propri livelli di preparazione ed al coinvolgimento nella vita della scuola.

Ovvio che remare controcorrente è più faticoso. Se assecondassimo le logiche di semplificazione degli studi e di omologazione dell’insegnamento al pensiero unico della competitività e della banalità dell’Essere, godremmo probabilmente di maggior fortuna in quanto ad iscrizioni. Invece, vuoi la logistica della scuola, vuoi i doppi turni e l’assenza di palestra, abbiamo anche un ulteriore handicap. Se non reagiamo con la qualità della relazione con gli studenti, con l’umanizzazione del clima complessivo e dell’insegnamento e non operiamo una scelta di sostenibilità del potenziamento dell’offerta formativa, mettiamo a serio rischio il futuro della nostra scuola.

Mi sento, pertanto, di consigliare:

  • Inertizzare l’impatto dell’ASL sul funzionamento della scuola e sullo studio dei ragazzi incardinandola sempre più nell’assetto curricolare e scaricando le ore obbligatorie o in periodi di sospensione delle lezione o sui viaggi di istruzione;
  • Selezionare con attenzione le attività di potenziamento evitando “distrattori” o attività che si concentrino intensivamente in periodi ristretti e che non consentano allo studente di studiare adeguatamente;
  • Diluire nel corso dell’anno i PON già assegnati limitando al massimo, per il futuro, di prevedere per i PON attività che risultino di difficile gestione amministrativa e di irrilevante – se non negativo – impatto sullo studio degli studenti.
  • Utilizzare a fondo la nuova palestra e valorizzare lo spirito di appartenenza alla scuola con attività di gruppo, tornei interni ed esterni.
  • Trovare nei dipartimenti un vero comun denominatore nella proposta della disciplina e nel metodo. Ricordiamoci che dire ad uno studente: “non ha metodo”,  è come dire “io non ti ho dato il metodo”. Gli studenti non nascono “imparati” non possiamo rimbalzare su di loro le nostre omissioni ed indurre massicciamente (stante l’ansia crescente ed iperprotettiva delle famiglie) alle lezioni private.
  • Il metodo di studio non è indifferente per la valutazione. E’ necessario che – almeno in sede di dipartimento – siano chiari e condivisi i principi di programmazione sia in ordine ai contenuti che ai metodi ed alle aspettative.

 

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