Quattro giorni alla volta della Grecia

testo di Matteo Todino e video di Giorgia Ciraolo

 Quando si comincia il liceo, il viaggio dell’ultimo anno si configura agli studenti come la ricerca del Sacro Graal: una tappa tanto bramata, quanto apparentemente irraggiungibile. Alle superiori si entra in un mondo in cui tutti gli ordini precedenti, purtroppo o per fortuna, vengono sovvertiti e ai ragazzi non resta che una sola scelta: crescere. La crescita dello studente è un processo che avviene attraverso la condivisione, la collettività e, soprattutto, non è mai fine a se stesso: il dialogo con gli studenti e con i professori, lo scambio di opinioni contrastanti durante le assemblee, la solidarietà nei compiti in classe, la profondità di sguardo che può essere acquisita solo interiorizzando le materie che studiamo ogni giorno, sono cose che costituiscono un bagaglio di esperienze da portare per tutta la vita.

All’inizio del percorso del liceo classico è inesorabile sentire la distanza, poiché quello che si studia è cronologicamente ben lontano dai tempi moderni, ma è proprio questa stessa distanza che affascina gli studenti e li spinge ad andare avanti. Con il passare del tempo i ragazzi scoprono la storia, la letteratura, la filosofia, la mitologia e, lì, sono rapiti: è impossibile restare indifferenti a tutti questi interessanti particolari e, allora, si finisce per creare un mondo immaginario in cui abitano tutte le cose studiate, perché per quanto proviamo a crescere, noi studenti facciamo fatica a credere di vivere nello stesso mondo dove tutte queste cose sono esistite; le personalità autorevoli e possenti, i luoghi maestosi, le ambientazioni quasi sovrannaturali.

Ma, poi, il tempo passa, i legami si consolidano, le classi talvolta diminuiscono, la consapevolezza delle materie che si studiano aumenta sempre di più, cambia il modo di vedere il mondo e, finalmente, arriva lui: il viaggio dell’ultimo anno.

Tra le emozioni di chi prende l’aereo per la prima volta, di chi lascia il paese, di chi parte con i compagni si nasconde una velata malinconia: il raggiungimento di questa tappa sottintende che ormai il nostro percorso qui sta per terminare, ma è proprio questa una delle cose che rende il viaggio indimenticabile e vorrebbe farci rimanere per sempre un gruppo di neo-diciottenni impavidi alla scoperta del mondo.

Improvvisamente, ogni malinconia o timore scompare: si arriva finalmente a destinazione, Atene e da questo momento in poi cala il silenzio nell’anima.                     Si entra al Museo Archeologico e davanti a tutto, in bella vista, si trova esposta la maschera di Agamennone in oro scintillante : una luce eterea e passata che abbaglia in tutti i sensi. E poi, la salita sull’Acropoli: una camminata immersa nel verde, dove man mano la città si degrada, come se si lasciasse il moderno per salire alla scoperta dell’antico; dopo i gradini e le varie scalinate, si eleva innanzi agli occhi una struttura immortale, dalla bellezza prepotente e penetrante, dalla dimensione imponente. Guardare l’Acropoli è un colpo basso, che ferisce tutte le corde dell’anima e istantaneamente distrugge quel mondo immaginario che si era creato, è una visione idillica e immaginifica, che non può fare altro che emozionare. E mentre tutto questo avviene, un flusso di coscienza scorre nelle menti di noi studenti: stiamo camminando proprio dove quelle grandi personalità trascorrevano la vita di tutti i giorni, in quei luoghi che hanno ispirato tantissimi autori, e che dire del teatro di Dioniso, dove hanno rappresentato le tragedie che tanto ci hanno appassionato? Di fronte a tutto questo, non resta che arrendersi e lasciarsi vincere dalla forza della bellezza.

Con una nuova consapevolezza abbiamo continuato il nostro itinerario passando per l’incrocio in cui si dice che Edipo avesse ucciso il padre Laio, in direzione Delfi. Mentre l’Acropoli sorge al centro della città, in mezzo a milioni di abitanti, Delfi è un luogo isolato, situato ai piedi del Monte Parnaso, immerso nel verde e nel silenzio. Non è un caso che proprio qui sorgesse il Tempio di Apollo, dal quale provenivano gli ambigui oracoli, trattati da numerosi autori; suggestiva soprattutto la statua dell’Auriga di Delfi, conservata al Museo Archeologico e testimonianza di una vittoria coi carri del tiranno di Gela, Polizelo.

Successivamente abbiamo visitato il Canale di Corinto, luogo di passaggio dai tempi più remoti, il Teatro di Epidauro con la sua impressionante acustica, la zona archeologica con il Santuario di Asculepio, il sito archeologico di Micene con la Tomba di Atreo e la Porta dei Leoni.

Il nostro viaggio si è concluso l’ultimo giorno con la visita del museo dell’Acropoli, dove sono situate leggendarie Cariatidi e l’escursione a Capo Sounion, al tempio di Poseidone, sospeso in mezzo al mare, al confine con l’Asia. Con gli occhi colmi di bellezza ed emozione abbiamo fatto, tristemente, ritorno a Napoli.

I luoghi visitati e l’atmosfera che si è creata fra tutti noi costituiscono un ricordo che resterà indelebile negli anni e che arricchisce ulteriormente il nostro bagaglio di esperienze. Se è vero che l’unica regola di un viaggio è non tornare come si è partiti, allora credo che ci siamo riusciti: quel mondo immaginario non esiste più, è solo un prolungamento del nostro che ci serve per andare avanti, è quella bussola da consultare quando non si sa che strada imboccare, poiché resta lì, glorioso, solenne, immenso. Come ha detto Mànos, la nostra guida appassionata ed innamorata del suo territorio, la cultura è come una partita a tennis dove non ci sono vincitori o vinti, bensì due giocatori che attuano uno scambio; fin quando ci sarà lo scambio, la cultura avrà possibilità di esistere. E allora noi ci auguriamo di essere sempre giocatori, che, attraverso lo scambio, possano non far mai terminare la partita della cultura.

                                                             

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