Restiamo positivi
di Lucrezia Di Meo (IF, a.s. 2020-2021)
Forza, apri gli occhi. Avanti, svegliati. Stai dormendo e tutto questo non è e non può essere vero. Forza, smettila di avere paura, di agitarti, di piangere, è solo un incubo. Svegliati. Eppure non riesco a svegliarmi. Cosa mi prende? Forza, svegliati, è un sogno. E se tutto questo fosse veramente un sogno, com’è possibile che se mi do un pizzico sul braccio avverto dolore? Com’è possibile che riesco a leggere nitidamente le lettere di quel foglio, di quella macchia nera che decreta la mia positività o la mia negatività al Covid-19? No, è tutto vero. Un incubo reale, di cui tutti sentono parlare, che molti provano sulla pelle, ma che nessuno riesce a vedere se non negli occhi vitrei e inespressivi di un caro deceduto, o nello sguardo sbarrato di qualcuno che ha appena scoperto di essere positivo. E in tempi come questi la positività (e non parlo del virus), come la speranza, è l’unica isola di salvezza in mezzo ad un mare nero, in cui nuotano dubbi e paure affamate di nuove prede e le onde di ansia ruggiscono e minacciano di ingoiare e affogare l’equilibrio emozionale e psicologico di molti. E se per un attimo tutto sembrava essere tornato ad una quasi completa normalità, dopo ben quattro mesi di uscite serali e viaggi mozzafiato, nuotate azzardate e tuffi pericolosi, amori passionali e risate tra amici, ecco che tutte le nostre certezze, tutti i nostri sogni, tutte le nostre aspettative, i nostri progetti, i nostri traguardi, sono stati nuovamente infranti e divorati da quel mostro che sembrava si fosse arreso. Durante l’estate non abbiamo fatto altro che fingere, in parte, che andasse tutto bene; ci siamo divertiti ignorando quell’incubo. E infatti, eccoci di nuovo qui, tutti bloccati e sospesi tra la logica e l’irrazionalità, tra le nefandezze di una politica corrotta in cui nessuno sa con sicurezza come si deve agire, ma allo stesso tempo sono tutti tuttologi e sono in competizione spietata, dove vince chi attua più misure anti-Covid-19, anziché mirare ad un’unione e ad una collaborazione internazionale per attuare dei piani certosini e mirati.
A breve, con alte probabilità, verrà emanato un DPCM che segnalerà un lockdown totale. Tuttavia, questa “semi-quarantena” è come se fosse assoluta, per me. Sono ormai ben venti giorni che non esco di casa, che non incontro qualche amico con cui scambiare una chiacchiera, che non vedo il mio fidanzato se non attraverso una telecamera, che sono barricata in casa, seppellita sotto le coperte, le mie ansie, le varie sollecitudini adolescenziali e gli ingenti carichi di compiti. E nel frattempo l’unica azione che funge da costante nella mia vita, è quella di “dondolarmi” su un altalena: emozioni positive in continuo contrasto con le emozioni negative; le buone intenzioni di rivoluzionare la mia vita e dedicarmi ad una rinascita personale talvolta spente da immediati sconforto e abbattimento; sbalzi di autostima alternati ad un forte senso di incapacità con conseguente perdita di fiducia in me stessa. E per quanto io mi sforzi a masticare le parole “Andrà tutto bene e tutto questo finirà!” che mi vengono imboccate con un cucchiaino la cui mano che lo regge trema già da sé, e per quanto io ci provi a mantenere i piedi per terra, non posso far altro che contemplare le mie paure. Perché sì, certe volte ho il timore di abbracciare persino mia cugina (l’unico essere umano con cui posso avere contatti), a causa dell’ansia di nuocere alla salute dei miei genitori.
Nel frattempo sono preoccupata per mia nonna, che non vedo da due mesi, e per il mio ragazzo, che si è rivelato esser positivo. E mi sento impotente e combattuta e sopraffatta. Spendo energie tentando di rimanere a galla, ma non so nuotare bene.
E di quante cose siamo stati privati? La soddisfazione di un bel voto a fronte di una notte in bianco passata a studiare quelle pagine di filosofia così complicate; le risate ed i pettegolezzi tra i banchi di scuola; l’abbraccio consolatorio dopo un pianto, tutta colpa di quel 4 in matematica; le fughe nei bagni; gli sguardi complici di un amore che attende di congiungersi in due mani che si tengono saldamente fra loro fino alla stazione di Piave; le corse senza senso lungo tutta Via Epomeo, al diavolo le facce allibite e le occhiatacce; “Ehy amico, hai visto com’è carina quella ragazza? Mi ha appena guardato…”; “Ma ora quale materia abbiamo? Oh no, mi fai copiare?”; e quei “Chi si offre?” di alunni spaventati, scambi di sguardi pieni di trepidazione e di insicurezza… Tutte queste cose ci sono state strappate da un virus. Una particella minuscola ha devastato le vite di tutti.
E certe volte, mentre mi lavo i denti o parlo con i miei genitori, riguardo vecchie foto o sto per andare a letto, mi succede di fantasticare sul passato e sul futuro, vacillando tra un mondo pre e post-covid. E con la consapevolezza di ciò che è e che sarà stato il Coronavirus, spero che il mondo acquisirà maggiori coscienza e sensibilità, un senso di civiltà universale che porterà anche ad un atteggiamento più rispettoso e ragguardevole nei confronti di noi stessi, di tutte le altre persone, dei posteri e dell’ambiente circostante. Sarebbe bello, inoltre, se la popolazione di tutto il mondo si impegnasse per ottenere un senso di cameratismo più forte, senza sfociare in promiscuità e senza giungere ad una globalizzazione eccessiva in cui le tradizioni, le culture e gli elementi più folkloristici che caratterizzano quei popoli, si amalgamano fino a scomparire per adeguarsi alle condizioni “imposte” dalle multinazionali. Parlo di un cameratismo basato sul senso di appartenenza ad un pianeta comune ai piedi di tutti, ove non vi è competizione sanguinosa per beni materiali né una corsa all’oro in cui gode di fama e fortuna il primo scienziato che scopre qualcosa di nuovo in un qualsiasi campo, custodendo con pochi e gelosamente gli esiti delle sue ricerche e dei suoi esperimenti, e lasciando a bocca asciutta gli altri paesi. Spero quindi che dopo il Covid, col senno di poi, noi tutti impariamo dagli errori passati per agire unanimemente in maniera tempestiva laddove si verifichi una nuova situazione emergenziale, e nel frattempo, attuare dei piani di azione per prevenire e/o curare situazioni che potrebbero essere già, anche se in minima parte, compromesse (il riscaldamento globale, la possibile estinzione di qualche specie animale etc…).
Eppure, non c’è due senza tre, e se si vuole migliorare il mondo, auspicando ad un vero cambiamento, è necessario partire da noi stessi. Infatti, durante questa nuova quarantena, ho intenzione di iniziare meditazione, yoga, sport ed un percorso per migliorare i miei difetti, raggiungere una pace ed un equilibrio maggiori, perdonare me stessa e accettarmi per la persona che sono, cambiare in meglio le mie qualità e affinare le mie capacità. “Sii il cambiamento che vuoi essere”, nel rispetto altrui e mantenendo umiltà, coscienza ed empatia invariate.
Il Covid-19, ed è diventato una parte di noi. Ma spetta comunque a noi la scelta: affogare nelle proprie ansie o restare positivi, anche se si è “positivi”.
Brava ,Lucrezia,hai colto molto bene il senso di quello che stiamo vivendo ma anche di quelle che dovranno essere le nostre scelte future.
Conserva sempre con forza la tua bella “positività”!
Complimenti Lucrezia!
Dal tuo tema si può percepire ogni tua emozione: tutta la tua tristezza, la tua paura, la tua gioia, la tua speranza e soprattutto la tua forza. Sei veramente più forte di quello che si potrebbe immaginare da una ragazzina della tua età. Per di più la tua scrittura è sopraffine e denota una grande bravura e una forte passione: ci dovrebbero essere molte più persone come te! Persone così sensibili e così empatiche,
persone che, nonostante la sofferenza, riescono ad aprire il proprio cuore ad un pubblico così vasto.
Grazie mille, davvero, per aver condiviso con noi il tuo pensiero, sei riuscita a dire tutto ciò che i nostri cuori non riuscivano ad esprimere.