Storie di vite bruciate a Hollywoodlandia – Babylon (D.Chazelle, 2022)
del prof. Lucio Celot
Proprio come la Hollywood dei versi di Don Blanding, anche l’ultima fatica di Damien Chazelle (il regista di La La Land), ambientata negli anni del passaggio del cinema dal muto al sonoro, è eccessiva, volutamente sgradevole, ridondante, iperbolica nella regia (i piani-sequenza non si contano), smisurata nel tratteggio dei personaggi, nell’uso dei colori, nella colonna sonora invasiva e ossessiva, nel racconto delle vite “al massimo” di un pugno di rappresentanti di quella “Gente d’Oro” che dalla sera alla mattina poteva trovarsi al centro di un inatteso vortice di fortuna, fama e adulazione e che, altrettanto rapidamente, veniva bruciata nell’Eldorado della Celluloide.
Hollywood come la Nuova Babilonia: ci aveva già pensato Kenneth Anger, scrittore e regista visionario scomparso nel maggio dello scorso anno, che negli anni ’60 aveva pubblicato Hollywood Babilonia, due volumi di gossip, pettegolezzi e cronaca al vetriolo in cui demoliva sistematicamente lo star system della Città dei Lustrini. In ogni breve capitolo del libro le più famose icone di Hollywood – da Chaplin a Fairbanks, da Hearst a von Stroheim, da Mae West alla Monroe e ancora Keaton, Valentino, Flynn, Mitchum, Lana Turner, Ava Gardner – sono impietosamente messe a nudo nel loro lato più privato e oscuro tra festini e orge a base di droga, sesso e minorenni, alcol e stravizi, suicidi, amori, perversioni; per non parlare, poi, dei numerosi crimini, non escluso l’omicidio, di cui alcuni dei Miti della Settima Arte si macchiarono, coperti e scagionati da giudici profumatamente pagati e corrotti dalle case di produzione preoccupate di salvaguardare la faccia, la reputazione e gli incassi.
Anger amava dire Ho sempre considerato il cinema come qualcosa di malvagio. Il giorno in cui è stato inventato è stato un giorno nero per l’umanità: ecco, il film di Chazelle sembra essere il commento per immagini delle cronache scintillanti e sordide di Anger o del giudizio inappellabile di un altro attento osservatore, Aleister Crowley, che stigmatizzava la Colonia di Hollywood come una banda di maniaci sessuali pazzi di droga. Diciamo sembra, perché in realtà Babylon è uno spropositato, incondizionato e colossale atto d’amore per il cinema e, in particolare, per quel particolare momento della storia della Settima Arte che sono stati i ’20 e i ’30, quelli della nascita e dello sviluppo dello star system e degli studios e del passaggio dal muto al sonoro, momento di transizione esaltante e drammatico che ha lasciato sul terreno vittime illustri che sembravano destinate a gloria immortale.
Lo script di Chazel, che attraversa quasi un trentennio di cinema tra il ’26 e l’amaro epilogo nel ’52, incrocia tra loro quattro vite esemplari dentro il caos della Nuova Babilonia, ben prefigurato nelle sequenze iniziali della grande festa (che si trasforma ben presto in un’orgia) in casa del produttore Don Wallach: il piano-sequenza vertiginoso, sorretto dalla colonna sonora di Justin Hurwitz (pluripremiato per La La Land), ci fa fare la conoscenza con Jack Conrad (strepitoso Brad Pitt, disincantato e lucido attore del muto al tramonto), Nellie LaRoy (una scatenata e priva di inibizioni Margot Robbie, giovane provinciale disposta a tutto pur di sfondare), Manuel Torres (Diego Calva, un giovane messicano, galoppino tuttofare, che farà carriera come produttore esecutivo) e Sidney Palmer, prodigioso trombettista jazz di colore, leader di una band chiamata a suonare alle feste che contano ma “troppo chiaro di pelle per piacere al pubblico del Sud”. L’Epoca dei Dubbi Splendori mastica e sputa le vite dei quattro, così come nella Bibbia il Padreterno punisce la pretesa degli uomini di costruire una Torre che si elevi fino al cielo: Babele-Hollywood, il caos delle lingue, ascesa e caduta di un’umanità che si crede toccata dalla Grazia (vedi alla voce: Fama e Denaro). Simbolo di questa pacchiana e cafona ipertrofia della Vanità e dell’Ego è l’elefante che viene trasportato all’inizio del film nella villa dove si terrà la festa e che defeca ripetutamente sulla mdp (come a dire, sulla faccia e sulla testa dello spettatore); e, d’altra parte, chi non ricorda l’elefante che irrompe nel geniale Hollywood Party di Blake Edwards?
Delirante, insensato, ambizioso e, perciò, un flop al botteghino, Babylon ha suscitato reazioni critiche diversissime e contrastanti, cosa comprensibile se è vero che Chazelle prova a dare “forma d’arte all’insensatezza e al delirio”, come scrive qui G.L.Pisacane; è un film che si ama o si odia, tertium non datur, com’è ben esemplificato da due recensioni (qui e qui) di tutto rispetto che più diverse e contrastanti non potrebbero essere su ogni aspetto della pellicola.
Insomma, se Singin’ in the Rain era il ritratto malinconico e nostalgico con cui il cinema classico dipingeva le proprie radici, il “postmoderno” Babylon rimpiange la libertà sfrenata e la magia un po’ ingenua dell’epoca d’oro del cinema. Per questo, e anche per il montaggio finale che non ti aspetti, il Vostro Affezionato sta dalla parte di quelli che amano l’ultima, coraggiosa fatica dell’ex batterista jazz passato (per fortuna) dalle bacchette alla macchina da presa.
Babylon (id.)
Regia: Damien Chazelle
Distribuzione: USA 2022 (col., 189 min.). Disponibile su Sky
Il libro di Kenneth Anger:
Hollywood Babilonia, Adelphi, 2 voll. (1979 e 2023, riccamente corredati da fotografie d’epoca)