La Verità si vede meglio senza gli occhi…

del prof. Lucio Celot

Il nostro affezionato lettore avrà sicuramente presente (se non altro per sentito dire) La donna che visse due volte di Hitchcock del 1955; forse un po’ meno I diabolici di Clouzot del 1958: in entrambi i casi, parliamo di due capolavori assoluti basati su altrettanti romanzi scritti a quattro mani dalla coppia francese Pierre Boileau-Thomas Narcejac, apprezzati autori di una quarantina di noir tra gli anni ’50 e i ’90. Dal 2016, con il titolo più famoso, quello hitchcockiano, la casa editrice Adelphi ha iniziato la pubblicazione delle opere della coppia in nuove traduzioni e quest’anno è stata la volta de I volti dell’ombra, pubblicato oltralpe per la prima volta nel 1953. Pur essendo una delle cose migliori scritte dai due francesi, il libro non è diventato un film per un motivo molto semplice: la vicenda è raccontata dal punto di vista (se così si può dire) di un cieco. Dunque, la dimensione visiva è narratologicamente esclusa a priori e qualunque tentativo di resa cinematografica sarebbe fallimentare.

Siamo nella Francia del 1948, Hermantier è un industriale di Lione, il tipico self made man, un rozzo ma instancabile lavoratore che ha fatto fortuna ed è in procinto di lanciare sul mercato una lampadina di nuova concezione che dovrebbe rivoluzionare il mercato e sbaragliare la concorrenza. Disgraziatamente, proprio lui che si è arricchito con la luce, ha perso la vista a seguito dell’esplosione di un residuato bellico nel giardino di casa. Il romanzo inizia in medias res, con Hermantier reduce da quattro mesi di clinica che inizia a fare i conti con una nuova vita all’insegna di un “apprendistato sensoriale” che lo dovrà guidare in una diversa percezione del mondo che lo circonda. Lui, capo assoluto da sempre abituato a comandare a bacchetta chi gli sta vicino, familiari, sottoposti e operai, ora è come un bambino che dipende in tutto e per tutto della moglie Christiane, tanto solerte quanto fredda e anaffettiva, del socio Hubert, più attento ai propri capitali investiti che al lancio pubblicitario della nuova lampadina e poco propenso al rischio, dell’autista Clement, della cameriera Marceline e del fratello Maxime, l’unico della famiglia verso il quale Hermantier nutre un autentico affetto e si lascia andare ad atteggiamenti quasi paterni. Trasferitosi in Vandea con tutta la famiglia e la servitù nella casa delle vacanze estive, Hermantier inizia ad essere tormentato dal tarlo del dubbio e del sospetto: piccoli dettagli percettivi non tornano (un albero di pesco del giardino un giorno non c’è più e il giorno dopo è al suo posto, la presa elettrica del bagno è spostata da destra a sinistra, gli abiti del guardaroba gli vanno improvvisamente larghi, la Buick cui è tanto affezionato rientra a tarda notte ma Hermantier non l’ha sentita uscire, si sente aleggiare un odore di pini che in Vandea non crescono) e nella mente del protagonista inizia a farsi strada la paranoia, il dubbio che la famiglia e il socio vogliano estrometterlo dagli affari con l’inganno. Rivelatore sarà il momento in cui Hermantier, i cui sensi “minori” si sono affinati nel corso del tempo, si troverà di fronte alla tomba del fratello e farà una scoperta sconvolgente che lo convincerà di essere al centro di un autentico complotto di famiglia oltre che finanziario e professionale.

I volti dell’ombra è un noir classico, in cui mancano azione, delitto, assassino e detective ma c’è il labirinto del buio di una mente che non comprende più il reale e lo interpreta sulla base di indizi, “segni” il cui corrispettivo empirico il povero Hermantier non può mai verificare; anzi, un doppio labirinto, quello tutto interiore creato dal sospetto e quello fisico della casa delle vacanze, in cui Hermantier si muove a fatica non riconoscendo più alcun punto di riferimento noto. La percezione, la cecità e il sospetto sono dunque i veri protagonisti del romanzo, tutto raccontato in terza persona ma assumendo il punto di vista di un non vedente che si ritrova prigioniero di una famiglia in uno spazio che avverte come estraneo: Boileau e Narcejac sono abilissimi nel costruire un’atmosfera pervasa da un crescendo di tensione e di ansia in cui un ambiente che dovrebbe essere familiare e rassicurante si tramuta, in una perfetta resa letteraria di ciò che Freud definiva perturbante, in una sorta di trappola da cui Hermantier cercherà di sfuggire nel finale del libro. Rimane, al termine della lettura, il senso dell’indecidibile, dell’impossibilità di conferire uno statuto di verità all’una o all’altra versione dei fatti: Hermantier è davvero malato ed esaurito, come crede il medico che parla italiano nell’ultima battuta del romanzo? O è, suo malgrado, una sorta di novello Fu Mattia Pascal, come si evincerebbe dalla lettura al tatto che egli fa dell’iscrizione sulla lapide del fratello? Non lo sapremo mai ma non potremo che apprezzare la capacità degli autori di farci immedesimare in una condizione di disabilità e farci sentire tutta la fatica e il dolore di affidare il corso della nostra vita e la ricerca della verità ad altri sensi, escludendo dall’orizzonte dell’esperienza la rassicurate dimensione del visibile.

 

P.Boileau – T.Narcejac, I volti dell’ombra, Adelphi 2023

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