Banchieri o golpisti?

del Prof. Lucio Celot

 Luciano Gallino, Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Einaudi 2013

Cosa c’è alla base della preoccupante diffusione del populismo e del sovranismo in Occidente? Perché la working class, e non solo il ceto medio, si è lasciata sedurre dalle sirene del trumpismo in America? Perché ha deciso con il referendum del 2016 che il Regno Unito abbandoni l’UE, con tutte le incognite che ne deriveranno sul futuro economico? Se è vero, come scrive Stefano Feltri nel suo recente saggio (Populismo sovrano, Einaudi 2018), che all’origine di questa malattia senile della democrazia rappresentativa (M.Revelli, Populismo 2.0, Einaudi 2017) c’è una nuova domanda di sovranità, allora il libro di Luciano Gallino offre una decisiva chiave di lettura del prepotente desiderio di riprendersi il potere decisionale da parte dei “cittadini” dell’occidente industrializzato.
Gallino, sociologo ed economista scomparso nel 2015, affronta con estrema lucidità la crisi economica scoppiata in America nel 2007, definendola senza mezzi termini il più grande fenomeno di irresponsabilità sociale da parte di istituzioni politiche ed economiche della storia. Attori politici (USA, UE, Commissione Europea, governi europei), economici (banche centrali, Banca Mondiale, FMI, investitori istituzionali, etc) e ideologizzati (economisti, intellettuali, docenti universitari, avvocati) sono i responsabili del disastro economico-sociale che ha fatto qualcosa come 50 milioni di disoccupati tra USA e UE, 120 milioni di uomini a rischio povertà, 6 milioni di persone che hanno perso la casa: e il paradosso è che queste vittime della mega-macchina del “finanzcapitalismo” (categoria creata dallo stesso Gallino) si sono viste rovesciare addosso i costi della crisi dagli stessi governi. Infatti, le politiche economiche di sacrificio e di austerità che ne sono derivate, i tagli ai bilanci del welfare sono state avviati con il pretesto che “lo stato sociale costa” e, dunque, bisogna tagliarlo.
La catena delle responsabilità comprende, secondo Gallino, diversi anelli:
le banche europee e americane hanno contratto debiti enormi per avere erogato crediti e mutui senza avere in bilancio i relativi fondi;
le stesse banche hanno convinto governi e politici che un crollo del sistema creditizio avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutta l’economia occidentale (too big to fail);
i bilanci degli stati hanno sofferto di un forte calo dovuto alle ingenti somme spese per salvare le banche che rischiavano di fallire;
i governi hanno offerto una rappresentazione distorta della crisi, dovuta alla eccessiva generosità dello stato sociale negli anni precedenti e, coerentemente,
hanno avviato politiche di tagli e austerità a partire dalle voci sanità-pensioni-scuola, i pilastri del sistema sociale europeo;
tali politiche si sono concretizzate in riforme e documenti programmatici, come il “fiscal compact” o il meccanismo europeo di stabilità.
Tutte queste politiche hanno peggiorato e prolungato la crisi, aumentando il numero delle sue vittime.
In realtà, queste politiche non sono altro che il proseguimento di una strategia delle classi dominanti che ormai da trent’anni sta redistribuendo il reddito dal basso verso l’alto con l’appoggio del potere politico (si veda, dello stesso Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Einaudi 2012).
Secondo Gallino, il regime di accumulazione finanziaria che ha portato alla grande crisi globale è stato prodotto anche dalla politica, che ha avallato e legittimato politiche economiche di liberalizzazione finanziaria (o deregulation), ispirate a loro volta alle teorie neoliberali di Milton Friedman (“bisogna obbedire ai mercati” e al loro giudizio: secondo le tesi di Friedman e dei “Chicago Boys”, il capitale affluisce sempre là dove ce n’è più bisogno, e in tal modo si legittima non solo il non intervento dello stato ma anche l’idea che al mercato si deve sempre obbedienza, e dunque non è più necessario né discutere né tantomeno chiedere disamine parlamentari in ordine alle scelte di politica economica).
Le modalità attraverso cui si realizza la liberalizzazione sono ben note: eliminazione dei controlli sul credito (banche di investimento); deregolamentazione dei tassi di interesse; libertà di ingresso nel settore bancario e/o industriale dei servizi finanziari (“sistema bancario ombra”); autonomia delle banche; liberalizzazione dei flussi internazionale di capitale. Tanto negli USA che nella UE tutte queste azioni sono state permesse e sancite da leggi, decreti, norme, etc. tutte emanate dai governi, dai parlamenti e/o da organizzazioni intergovernative che hanno, di fatto, consegnato il potere alla finanza.

Si è quindi trattato, dice Gallino, di un vero e proprio colpo di stato, una vera e propria transizione ad un regime oligarchico, una espropriazione di democrazia nell’Unione Europea con cui il sistema finanziario ha preso il potere imponendosi ai governi nazionali, costringendo questi ultimi a smantellare progressivamente il modello sociale europeo, vero bersaglio del colpo di stato in atto in Europa: l’invenzione politica più importante del XX secolo, quella secondo la quale tutta la società è investita della responsabilità di produrre sicurezza economica e sociale per ogni uomo, a prescindere dalla sua posizione sociale. Per fare questo è necessario costruire dei sistemi di protezione sociale come la sanità pubblica, le pensioni pubbliche, il sostegno al reddito, il diritto al lavoro, etc.
La grande crisi globale crisi può quindi essere vista come un gigantesco e riuscito esperimento di controllo globale per mezzo del mercato, che ha potuto procedere quasi indisturbato grazie ad una narrazione distorta di media e accademici asserviti che hanno presentato la crisi come effetto di politiche sociali dispendiose al solo fine di nasconderne le cause vere e strutturali, colpevolizzando i cittadini come unici responsabili dei deficit di bilancio a causa della spesa sociale; ma, insiste Gallino, la crisi stessa è stata utilizzata strumentalmente come modalità di governo: l’homo oeconomicus, messo di fronte a una crisi drammatica e ai rischi di crollo del sistema, ha accettato in massa e in modo acritico le politiche di austerità e i processi di svuotamento democratico in atto.
Fondamentale è stato, evidentemente, l’apporto delle teorie neoliberali, il cui rigetto è ora un’opzione irrinunciabile: vero dominio totalitario che ha corrotto il tessuto sociale, l’egemonia che questa ideologia ha conquistato sulle coscienze, sulla politica, sulla scuola, sull’università, sull’amministrazione pubblica […] arriva talmente in profondità da sfidare ogni intervento men che radicale. E’ la più grande forma di pandemia del XXI secolo. E’ anche un grande pericolo per la democrazia.
Dunque, rigettare le teorie economiche neoliberali, creare occupazione attraverso l’aumento della spesa pubblica e politiche fiscali che consentano maggiori investimenti, riportare la finanza al servizio dell’economia reale, perseguire la piena occupazione: un “keynesismo emergenziale che, a tutt’oggi, fatica ancora ad attecchire.
E allora: Trump, Brexit, Le Pen, Farage, Lega, Orban…davvero continuiamo a stupirci se i cittadini europei si affidano a chi, senza fallimenti pregressi alle spalle, promette rotture radicali e la rivincita delle nazioni?

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