Così si è sempre fatto in mare e sempre si farà e coloro che non lo faranno saranno maledetti! – Comandante (E.De Angelis, 2023)

del prof. Lucio Celot

Raccontare il passato per denunciare il presente: il cinema lo fa spesso, e in tempi di guerra come quelli che viviamo ben venga lo script di Sandro Veronesi e del regista Edoardo De Angelis che portano sullo schermo la storia vera di Salvatore Todaro, comandante del sommergibile “Cappellini” della Regia Marina Militare, protagonista nell’ottobre del 1940 del memorabile salvataggio dell’equipaggio di un mercantile belga al largo dell’Oceano Atlantico. Al suo quinto film, De Angelis abbandona gli scenari minimalisti a lui consueti (Napoli con il suo degrado morale, urbano e suburbano) e affronta una grande produzione (14 mln di euro) che ha – quasi – il sapore del kolossal spettacolare a cui non siamo più abituati, supportato anche dall’ennesima, convincente prova attoriale di Pierfrancesco Favino.

            Salvatore Todaro è un comandante inflessibile, un militare tutto d’un pezzo a capo di un sommergibile all’avanguardia tecnologica che racchiude nel proprio ventre (qui la recensione di sentieriselvaggi.it sulla simbologia femminile nel film) un’umanità varia che proviene da tutta l’Italia fascista, un “bordello”, dice Todaro nei suoi immaginari dialoghi con la moglie Rina, lasciata sola e incinta, un “crogiuolo meraviglioso e putrido” di dialetti e culture che si mescolano e sovrappongono: il cuoco napoletano, il corallaro di Torre del Greco, il siciliano, il cattolico bigotto, il vicecomandante veneto dal volto sfigurato e chi più ne ha…Ma è un uomo di grande umanità ed empatia, di lui si dice addirittura che sia una sorta di veggente, lo chiamano “Mago Bakù” perché prevede nascite e morti (anche la propria, avvenuta in battaglia due anni dopo la vicenda raccontata nel film); salpa da La Spezia nell’ottobre del 1940, a guerra appena iniziata, anche se avrebbe potuto andarsene in pensione a causa delle condizioni della sua schiena letteralmente a pezzi, rimessa assieme dai medici dopo che è precipitato durante una missione con un idrovolante.

            Quando il “Cappellini” incrocia nell’Atlantico un mercantile belga, il “Kabalo” (formalmente neutrale), che naviga a luci spente in zona di guerra, Todaro non ha dubbi: va affondato. Dopo qualche cannonata da una parte e dall’altra, i belgi hanno la peggio e, in un primo momento, Todaro abbandona in mare la scialuppa con i superstiti dopo averli riforniti di acqua, cibo e coperte: è quanto prevede la consuetudine di guerra. Ma poi: Noi affondiamo il ferro nemico ma l’uomo…l’uomo lo salviamo sono le parole con cui il Comandante comunica all’intero equipaggio che intende prendersi a bordo i ventisei superstiti, contravvenendo agli ordini e mettendo in pericolo le vite di tutti, visto che dovrà navigare in superficie per le successive quarantotto ore, il tempo di approdare alle Azzorre dove verranno fatti sbarcare i belgi.

Il cuore e il senso del film di De Angelis stanno tutti qui, nel gesto salvifico di un uomo che sa quanto conti la gerarchia in uno stato di guerra ma disobbedisce in nome dell’Uomo: e la battuta che conta davvero non è quella finale (che Todaro ha effettivamente pronunciato), quando il comandante belga, ormai in salvo, chiede a Todaro perché lo ha salvato e il Comandante risponde con un sorriso appena abbozzato un Perché siamo Italiani! (come a dire: mica come i nostri alleati nazisti, che vi avrebbero lasciato morire in mare: battuta di cui sicuramente si impadronirà la retorica patriottarda e sovranista di qualche politicante di casa nostra nonché di qualche prosivendolo schierato: leggere qua per toccare con mano, fin dal titolo del pezzo, come certa becera ideologia nostrana possa trasformare un film in qualcosa che NON è!) quanto, piuttosto, quella pronunciata in dialetto veneto (la lingua che lenisce Todaro quando è in preda ai violenti dolori che lo perseguitano) rivolgendosi al suo aiutante: Siamo in guerra, sì; ma siamo anche uomini. E non è un caso che il film si apra con un exergo che richiama il presente del conflitto tra Russia e Ucraina attraverso le parole di un marinaio russo salvato da un comandante ucraino: In mare siamo tutti alla stessa distanza da Dio, la distanza di un braccio; quando Todaro si rivolge ad uno dei belgi che tentano di sabotare il “Cappellini” perché gli italiani sono “porci fascisti”, gli grida in faccia Sono un uomo di mare! e alla sola legge del mare, superiore a qualunque altra umana legge, quella del codice etico dei naviganti (si veda la sequenza, davvero emozionante, in cui il “Cappellini” sfila tra le navi inglesi che consentono il passaggio del sommergibile verso le Azzorre), renderà conto con il suo gesto.

Comandante avrebbe potuto facilmente scadere in una tronfia retorica dell’italianità e del patriottismo; De Angelis e Veronesi riescono, invece, a raccontare una storia esemplare di umanità, di eroismo e di speranza che non ha bandiere e in cui la piena adesione al fascismo del protagonista e la barbarie delle leggi di guerra vengono trascese in un superiore ordine di fratellanza e solidarietà. Chi ha orecchie per intendere…

 

Comandante (id)

Regia: Edoardo De Angelis

Distribuzione: Italia 2023 (col., 120 min.)

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