I Classici da rivedere #11 Robby il robot come il Calibano di Shakespeare – Il pianeta proibito (F.M.Wilcox, 1965)

del prof. Lucio Celot

Gli anni ’50 del secolo scorso in America furono il decennio in cui la fantascienza al cinema esplose letteralmente, producendo decine di titoli e autentici cult, complice anche la guerra fredda con l’ossessione e la fobia del “pericolo rosso”, immediatamente e facilmente traducibile nella metafora dell’invasione aliena. Mentre il senatore Joseph McCarthy imperversava compulsivamente alla ricerca di traditori comunisti nel governo, nella società civile e persino a Hollywood (la famigerata black list impedì per anni ad attori, registi e sceneggiatori di lavorare), sullo schermo facevano la loro comparsa non solo umanoidi e robot provenienti da altre galassie quasi sempre con pessime intenzioni riguardo il nostro pianeta, ma anche formiche, ragni e granchi giganti, mostri marini, inconsapevoli meteore dirette sulla Terra e altri terrificanti pericoli che un manipolo di eroi e scienziati riusciva puntualmente a sventare quando le speranze erano ormai ridotte al lumicino. I titoli del decennio sono emblematici e raccontano già di per sé un clima e una psicosi, quella della paura dell’invasione sovietica unita a quella del rischio nucleare: Ultimatum alla Terra, La cosa da un altro mondo, Quando i mondi si scontrano, La guerra dei mondi, La Terra contro i dischi volanti, L’invasione degli ultracorpi, Blob – Fluido mortale, Destinazione…Terra!, Assalto alla Terra, nonché il mitico Plan 9 from Outer Space di Ed Wood, definito unanimemente dalla critica “il peggior film della storia” (vedere per credere…)

Forbidden Planet rappresenta, in questo panorama, un’interessante e per certi versi sovversiva variazione sul tema, con le sue sottili implicazioni di natura psicanalitica e sessuale. Liberamente e vagamente ispirato alla Tempesta di Shakespeare, è il primo film prodotto da una major, la MGM, interamente ambientato su un pianeta alieno, Altair IV, dove, nel 23° secolo, un’astronave terrestre atterra alla ricerca dei superstiti della precedente spedizione, di cui si sono perse le tracce da vent’anni. Sul pianeta sono rimasti solo il prof.Morbius, la conturbante quanto ingenua figlia Alta (o Altaira nei credits) e il goffo ma fortissimo e obbediente robot Robby (divenuto, nel tempo, l’icona dell’età d’oro della fantascienza). L’evolutissimo popolo indigeno, i Krell, si sono estinti ormai da secoli ma Morbius è riuscito a impadronirsi del loro sapere e delle loro tecniche, volte alla progressiva eliminazione di ogni supporto materiale di vita sostituito dalla forza creatrice della mente. Dopo che l’equipaggio terrestre subisce un sabotaggio e poi l’attacco di una misteriosa entità, il comandante Adams (un giovanissimo Leslie Nielsen) decide di ritornare sulla Terra portando con sé il professore e la figlia, insieme alle rivoluzionarie rivelazioni scientifiche acquisite: ma dovrà, prima, fare i conti con la parte inconscia e oscura della mente dello scienziato, i cui fantasmi scatenati metteranno a repentaglio l’esito della missione e le vite degli astronauti.

Costato ben due milioni di dollari (cifra astronomica per un B-movie dell’epoca), Il pianeta proibito non è una space opera tradizionale, privo com’è di combattimenti tra astronavi, alieni cattivi, esplosioni planetarie e tutto l’armamentario tipico del genere; piuttosto, si concentra su quello che ormai era all’epoca un archetipo consolidato dell’immaginario fantascientifico, ovvero l’alieno dotato di intelligenza e conoscenze scientifiche avanti anni luce rispetto alla civiltà umana. Solo che, nel film, i Krell non si vedono mai, le uniche notizie sulla loro straordinaria civiltà ce le fornisce Morbius, esaltato e ammirato nel mostrare agli allibiti terrestri i ciclopici macchinari nascosti nel ventre del pianeta, il cui funzionamento è del tutto incomprensibile alla limitata mente umana. Macchinari che hanno un unico scopo, quello di eliminare qualunque altra macchina e dare vita ad una civiltà immateriale o, meglio, una civiltà di esseri in grado di creare con la sola forza del pensiero qualunque artefatto utile all’esistenza; insomma, i Krell erano arrivati a essere Dio. E, nello stesso momento, avevano causato anche la propria distruzione. Ed è a questo punto che il film di Wilcox fa uno scatto in avanti rispetto alle altre pellicole, non esitando a inserire nella trama elementi esplicitamente tratti dalla psicanalisi freudiana: il pieno e sviluppatissimo possesso delle proprie facoltà mentali, portate all’ennesima potenza, non aveva escluso che anche l’es (nel film la traduzione italiana usa il latino id) si manifestasse liberamente e distruttivamente nel mondo dei Krell. La misteriosa forza planetaria che aveva determinato la fine della civiltà su Altair IV e causato la morte della spedizione vent’anni prima e che neppure Morbius era ancora arrivato a comprendere pienamente, altro non era che l’incontrollabile potenza dell’inconscio e dei suoi mostri, l’energia pulsionale che neppure lo stesso Morbius è in grado di controllare quando si addormenta, generando suo malgrado effetti spaventosi e catastrofici.

Un po’ di Shakespeare e una buona dose di Freud (e tralasciamo l’ingenuo erotismo che traspare dagli atteggiamenti e dagli abiti striminziti di Altaira) danno allo script di Forbidden Planet una fisionomia e un’originalità che lo distinguono nettamente dalle altre pellicole coeve e ne fanno una delle maggiori fonti di ispirazione della sci-fi a venire: Gene Roddenberry, il creatore della serie classica di Star Trek, non ha mai nascosto di essere fortemente in debito con le atmosfere e le sottili inquietudini che il misterioso pianeta ha saputo comunicare ad un pubblico che voleva dimenticare gli orrori del decennio precedente e guardare al futuro.

 

Il pianeta proibito (Forbidden Planet)

Regia: Fred M. Wilcox

Distribuzione: USA 1965 (col., 98 min.).

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