La nascita di Omero

di Fernanda Castiglione

In un tempo indefinito e lontano, Ulisse giaceva titubante vicino ai suoi tre contendenti: Pindaro, Erodoto ed Esiodo, che gli leggevano le sue avventure, scritte diversamente da ognuno di loro.

Precedentemente Ulisse aveva indetto una sfida per stabilire chi dovesse scrivere le sue innumerevoli gesta; dopo mesi di lavoro, i tre poeti erano finalmente pronti per leggere all’eroe i vari manoscritti. Ulisse ascoltò attento, fra i suoi centomila pensieri: nella sua mente stava commentando ogni singolo parola, ma nella realtà si limitava ad inarcare di tanto in tanto le sopracciglia.

Una volta che anche Esiodo finì di leggere, i tre uomini tirarono sospiri di sollievo, ma nell’aria si respirava ancora tensione, paura e adrenalina.

Nonostante lo sguardo stanco dei tre poveri autori, Ulisse, ancora completamente indeciso, se ne andò. Lasciò i tre poeti interdetti e iniziò a vagare senza meta, si sentiva in fuga. Camminò e camminò fin quando le sue gambe cedettero e si dovette sedere. Riuscì, con gli occhi socchiusi dalla stanchezza, a vedere una bella ninfa avvicinarsi.

Prima che se ne potesse accorgere, era sorto un nuovo giorno, ma riuscì a ricordarsi qualcosa della sera precedente: accettò di trascorrere del tempo in compagnia della ninfa, e quindi, la seguì. Quella in cui si era svegliato doveva essere la sua dimora. Una volta alzatosi, la incontrò e lei gli presentò il suo moroso: “salve straniero. Ieri sera ti abbiamo trovato semiaddormentato nei dintorni. Il mio nome è Creteide. Lui è il mio uomo. Tu chi sei? Non sembri conoscere questi parti. Ulisse sbadigliò, si presentò e chiese di restare qualche altra ora in loro compagnia, aveva bisogno di pensare. Ancora pensoso però, si dovette arrendere, e salutò la ninfa e il suo promesso sposo. Ma fu proprio nell’ultimo saluto che riconobbe la determinazione dagli occhi dell’uomo, e l’intelligenza dal viso di Creteide. E così se ne andò, ancora indeciso. Prima di affrontare i poeti che lo attendevano ad Itaca, Ulisse programmò un’altra tappa: decise di andare da Zeus. Scalò tutte le vette e raggiunse il Monte Olimpo. Ulisse non chiese a Zeus consiglio su quale dei tre contendenti avrebbe dovuto scegliere, la sua mente uscì fuori dalle righe. Gli chiese di dare al mondo un poeta che avrebbe ascoltato con ammirazione, scritto con dedizione e avrebbe fatto di Ulisse la sua più grande ispirazione. L’eroe voleva un autore in grado di percepire e rievocare ogni emozione, paura e tutta l’angoscia. E sapeva anche chi sarebbe potuto essere: nella sua mente l’immagine della coppia che aveva incontrato continuava ad apparire, e così chiese a Zeus di far nascere un grande poeta dall’intelligente Creteide e dal suo determinato uomo. Zeus accettò ma stabilì una condizione irrevocabile: il nome dello scrittore sarebbe stato “Omero”: ciò lo avrebbe condannato per tutta la vita, poiché significa “colui che non vede”, “il cieco”. Ulisse accettò e tornò vittorioso, ma non proferì parola di quell’incontro con nessuno, e lasciò, con totale indifferenza, che i tre poeti pubblicassero lo stesso il manoscritto. Le sue migliori avventure le riservò unicamente ad Omero.

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