La Vecchia Quercia ci racconta un’altra storia di ordinaria umanità – The Old Oak (K.Loach, 2023)

del prof. Lucio Celot

            C’è poco da dire, a ottantasei (!!!) anni suonati Ken Loach non molla e continua indomito a indignarsi all’insegna del vecchio motto dei minatori inglesi durante l’epico sciopero del 1984 contro il “realismo capitalista” di Margareth Tatcher: “Strenght, Solidarity, Resistance”. Scritto insieme al fidato sceneggiatore Paul Laverty, The Old Oak è esattamente quello che ti aspetti da Loach, forse l’ultimo socialista vero rimasto sulla faccia della terra: una storia minimale fatta di donne e uomini che tentano di sbarcare il lunario e di ricostruire a fatica se non uno spirito di classe almeno un legame di gruppo, un racconto per nulla spettacolare di barriere e conflitti tra gli sconfitti dalla Storia e dal neoliberismo tatcheriano (There is no alternative! diceva la Lady di Ferro a proposito della necessità di smantellare gli impianti estrattivi nel North England), fatto di piccoli gesti di solidarietà e ritrovata umanità in un mondo di losers incattiviti e disillusi.

            T.J.Ballantyne è il proprietario di un pub, “The Old Oak”, in una non meglio identificata località dell’Inghilterra del Nord vicino Durham, un tempo centro minerario che dava da vivere all’intera popolazione, ridotto ora (la storia è ambientata nel 2016) ad una degradata e impoverita cittadina in cui le abitazioni vengono svendute per poche migliaia di sterline e il pub di T.J. è l’ultimo luogo di pubblica aggregazione rimasto, dove vengono a bere da più di quarant’anni sempre le stesse persone, soprattutto gli ex minatori, disoccupati, arrabbiati e amareggiati. In questo clima di disillusione generalizzata e rabbia repressa giunge in città una famiglia di rifugiati siriani tra cui spicca Yara, la figlia maggiore, appassionata di fotografia nonché l’unica del gruppo a parlare inglese. Yara e T.J. entrano subito in sintonia (complice una macchina fotografica) e cercano insieme di superare l’ostilità dei locali e di ricreare un clima comunitario utilizzando una vecchia sala dismessa del pub trasformata in mensa collettiva (“If we eat together, we stick together”); ma le resistenze e le pulsioni xenofobe dei vecchi avventori, che arrivano addirittura al sabotaggio dell’iniziativa e a rinnegare la lunga amicizia con T.J, renderanno tutto molto complicato. E nonostante ciò, il finale del film, con la parata degli stendardi, tra i quali spicca quello dei minatori con tanto di scritta in siriano, lascia, una volta tanto e inaspettatamente, un po’ di speranza al termine di una storia durissima, intrisa di sconfitte personali e storiche.

            Non ci sono buoni e cattivi nel film di Loach, stavolta non è possibile individuare manicheisticamente chi sta dalla parte giusta e chi da quella sbagliata: quello messo in scena da The Old Oak è un conflitto tra poveri che hanno perso tutto, lavoro, dignità e patria e, dunque, fatalmente destinato a non vedere né vincitori né vinti. Fin dalle prime inquadrature, con il vetro dei finestrini del pullman che trasporta i profughi a stabilire una distanza tra gli scatti in bianco e nero di Yara e la rabbia dei locali che non vogliono stranieri a casa loro, Loach pone un diaframma, uno iato che il legame tra la ragazza, colta e sensibile, e il disilluso T.J. cercherà di colmare per ridare linfa vitale ad una comunità che ha smarrito il significato della solidarietà. Yara e T.J. sono due anime affini, la ragazza non sa che fine abbia fatto il padre, scomparso nelle carceri del regime di Assad, l’uomo ha perso la moglie e ha un figlio che non gli rivolge più la parola; Yara spera di potere un giorno ritornare in Siria, T.J. vuole forse espiare il senso di colpa storico della sconfitta dei minatori dell’84-‘85, ultimo colpo di coda del movimento dei lavoratori inglesi, uscito indebolito dalla politica di smantellamento “riformistico” del governo Tatcher. Nel presentare il film, Loach ha detto che “la speranza è una questione politica. Se la gente confida di cambiare le cose va a sinistra, altrimenti è preda del cinismo e della disperazione. E passa a destra”, che è esattamente quello che accade agli (ex)amici di T.J., finalmente liberi di riversare tutta la propria frustrazione su chi sta peggio di loro, gli immigrati sfuggiti alla guerra, alle torture, alle detenzioni illegali.

            Corre voce che The Old Oak sia l’ultimo film di Loach (l’età? la stanchezza? la presa d’atto che un altro mondo sembra impossibile?); noi, dal canto nostro, speriamo invece che la Vecchia Quercia del cinema militante continui imperterrito, “in direzione ostinata e contraria”, a scavare sotto la scorza delle facili apparenze per raccontarci il “reale” che la narrazione tardo-capitalista vorrebbe nasconderci.

 

The Old Oak (id.)

Regia: Ken Loach

Distribuzione: UK 2023 (col., 113 min.)

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