Quante volte ancora calpesteremo la neve a Montauk? – Se mi lasci ti cancello (M.Gondry, 2004)

del prof. Lucio Celot

(aperta e chiusa parentesi: tradurre il verso di Pope Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Infinita Letizia della Mente Candida) con il prosaico, banale e svilente Se mi lasci ti cancello da commedia demenziale meriterebbe l’Oscar – con annessa punizione corporale – per la peggiore traduzione di un titolo nella storia del cinema…).

Lo script di Charlie Kaufman e la regia del francese Michael Gondry, che ha alle spalle un’apprezzatissima produzione di videoclip musicali, danno vita ad un mind-movie che, salvo rarissime stroncature (qui se ne può leggere una), è considerato una delle migliori rom-com del nuovo millennio (pur, come si vedrà, decostruendo e rinnovando il genere): la storia di Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet) si apre (?) nel più tradizionale dei modi, i due si incontrano casualmente sulla spiaggia di Montauk a Long Island, iniziano a frequentarsi, hanno una relazione. Certo, non potrebbero essere più diversi: lei è estroversa, ribelle, vulcanica, lui parla poco, è riservato, chiuso (un Carrey decisamente controllato e introspettivo rispetto alle sue consuete e scatenate performance). Così, dopo un’ellissi narrativa che arriva insieme ai titoli di testa dopo un quarto d’ora di film, troviamo Joel disperato che non sa darsi pace della fine della storia con Clem: in un estremo tentativo di ricucire si reca al negozio dove la ragazza lavora ma lei non solo non lo riconosce ma si capisce che ha anche un nuovo fidanzato, Patrick (Eljah Wood, che finalmente smette i panni da hobbit per ritornare uomo). Veniamo così a sapere che Clementine si è sottoposta ad un intervento presso la Lacuna Inc., una sorta di clinica dove è possibile eliminare i ricordi dolorosi e ricominciare a vivere senza sofferenza: incapace di sopportare la situazione, anche Joel decide di sottoporsi all’operazione, ma nel bel mezzo della procedura, mentre i due “tecnici” della Lacuna Inc. (Mark Ruffalo e lo stesso Wood, che ha l’abitudine di rubare i ricordi dei pazienti per provarci con le ex-fidanzate) trafficano con i loro macchinari, il ragazzo cambia idea, capisce di non volere perdere i ricordi della sua storia d’amore e così inizia la parte del film che si svolge interamente nella mente e nella memoria di Joel, dove l’ex regista di videoclip dà il meglio di sé. Joel e Clem “fuggono” dai ricordi che si stanno disgregando per nascondersi nei meandri del cervello di Joel dove non possono essere raggiunti e “cancellati”: in questa disperata fuga, in cui la dimensione reale e quella onirico-memoriale si confondono, non sappiamo più quale sia il mondo vero e quale, invece, sia diventato “favola” (Nietzsche è un riferimento costante per Kaufman), dato che i due mondi si sovrappongono, si influenzano a vicenda e ogni confine si dissolve e viene meno all’insegna dell’interattività (è Joel stesso a selezionare situazioni e personaggi delle memorie in cui rifugiarsi). Quando Joel tornerà alla vita di tutti i giorni, con i sui ricordi quasi intatti, assisteremo ad un finale in cui dovremo riposizionare cronologicamente il prologo a Montauk e ridare ordine al tempo della fabula: la conclusione, aperta ma non necessariamente lieta, ci proietta all’interno di un loop temporale virtualmente infinito di cui potremmo aver seguìto solo una delle tante, possibili ripetizioni.

Come in Sto pensando di finirla qui, scritto e diretto dallo stesso Kaufman (2020, qui la recensione su Pausa Caffè Pansini), il film corre sul doppio binario del reale e dell’immaginario, senza privilegiare lo statuto ontologico dell’uno o dell’altro: sceneggiatore e regista hanno fatto propria la lezione di autori come David Lynch, per cui l’ordine consueto del reale va superato, ampliato e sovvertito per allargare la nostra capacità di percepire “nuovi orizzonti del visibile” (come scrive P.Bertetto a proposito del regista di Missoula). Perciò anche il genere romantico, cui sembra attenersi l’incipit della storia, è riveduto e corretto da Kaufman, contaminato con la sci-fi (la possibilità di individuare nel cervello i luoghi fisici dei singoli ricordi ed eliminarli rimanda al racconto di Dick Memoria Totale da cui sono stati tratti i film di Verhoeven e il remake di Wiseman) e smentito da un finale che, pur lasciando aperto uno spiraglio di possibilità, non è certo conciliante né va incontro alle aspettative dello spettatore medio.

Eternal Sunshine (senza dimenticarci di Fight Club) è un film-cervello, intricato, spiazzante, una “cosa” ibrida che mette in dubbio le sicurezze dello spettatore, sceglie di parlare dell’amore dal punto di vista della sua fine e del dolore che ne viene e lo fa entrando nei “circuiti cerebrali” di Joel come aveva fatto Resnais con i protagonisti de L’anno scorso a Marienbad (1961: su questo e altro si legga su ondacinema.it la recensione  del film, un vero e proprio saggio, approfondito e analitico).

Il cinema del nuovo millennio, come scrive F.Marineo in una scheda dedicata al film, sta “imparando a relazionarsi con il cervello umano e con la memoria come straordinaria materia narrativa”, soprattutto dopo il grande successo di Memento (2000) di Nolan, perché dall’esperienza del ricordare, del ricostruire e del “guardare” in quella sorta di cinema privato che è la nostra memoria traspare in filigrana la condizione di un nuovo spettatore, chiamato a interagire con le immagini e non, semplicemente, a subirle.

 

Se mi lasci ti cancello (Eternal sunshine of the spotless mind)

Regia: Michael Gondry

Distribuzione: USA 2004 (col., 108 min.). Disponibile su Amazon Prime Video

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