Battlefield al teatro Bellini

della professoressa Maria Palumbo

Nessun uomo buono è interamente buono… nessun uomo cattivo è interamente cattivo.
Battlefield al teatro Bellini

E’ in scena al Bellini di Napoli lo spettacolo di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne Battlefield – Campo di battaglia – tratto dal capolavoro della letteratura induista Mahābhārata, poema epico in sanscrito che risale a circa otto secoli fa.
Brook a novantadue anni presenta una versione ridotta del suo celebre spettacolo, in origine della durata di nove ore, con traduzione e adattamento in italiano del napoletano Luca Delgado. In scena Karen Aldridge, Edwin Lee Gibson, Jared McNeill e Larry Yando.
Peter Brook è nato a Chiswick nel 1925; attualmente direttore del Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi, è diventato appena ventenne direttore del Covent Garden Theatre di Londra, ha lavorato con artisti di fama mondiale come Laurence Olivier e si è confrontato con testi sia classici che contemporanei.
Nel 1960 fonda il suo primo gruppo sperimentale a Londra, in cui prova a superare quella che lui stesso definisce “la necessità del racconto” (Il testo è un servitore, non un padrone, afferma Brook). Nel 1970 si trasferisce a Parigi per fondare il Centre International de Recherches Théâtrales, dove dà l’avvio alla sua sperimentazione, basata sulla convinzione che l’energia comunicativa sia trasmessa dall’espressività degli attori e dal loro movimento dei corpi, rigettando così ogni metodo, in linea con la scuola del regista polacco Grotowski. Come dichiara in un’intervista televisiva mandata in onda dalla Rai: “Ci si interessa della forma, si provano delle forme e si impara qualcosa, ma la ricerca è ciò che anima la forma. La forma poi verrà da sé. Ovunque ormai si incorre nel tranello che occorre rinnovare la forma. Dunque qual è la forma nuova? In realtà non si tratta di una ricerca che ha per scopo la forma, (…) l’importante è che si faccia qualcosa di stravagante che faccia dire: ah, ma com’è naturale!” (http://www.raiscuola.rai.it/articoli/peter-brook-la-sua-esperienza-teatrale/4832/default.aspx).
Annoverato tra i maggiori interpreti di Shakespeare, nel 1985, mette in scena la prima edizione dello spettacolo tratto dal Mahābhārata, della durata di circa nove ore, avvalendosi della collaborazione di Jean-Claude Carrière.
“Se pensiamo che il teatro debba rivolgersi a genti molto diverse, a generazioni diverse e che questo sia il modello datoci dal teatro sanscrito come da quello elisabettiano, bisogna che allora i grandi cercatori di verità, i ladruncoli e i bambini possano condividere nello stesso momento la stessa esperienza.” (http://www.raiscuola.rai.it/articoli/peter-brook-la-sua-esperienza-teatrale/4832/default.aspx)
Il testo viene ripresentato al Bellini in una scenografia essenziale composta da canne e giunchi sparsi sul palcoscenico e qualche drappo colorato, dove gli attori, accompagnati dal suono di un tamburo, ci conducono attraverso un racconto senza tempo, che parla al cuore di ognuno di noi. Il poema narra, in realtà, la saga della famiglia Bharata dilaniata da un conflitto sanguinoso tra i Pandava ed i Kaurava. Al termine dello scontro il vecchio re Dritarashtra ed il nuovo sovrano Yudistira ripercorrono con toni dolenti le tracce di una guerra che forse poteva essere evitata, perché un campo di battaglia cosparso da milioni di corpi non può che costituire una sconfitta per tutti.
La narrazione risulta volutamente sospesa al di sopra dello spazio e del tempo, accompagnata da una gestualità essenziale e rigorosa ed inframmezzata da una serie di inserti che invitano a riflettere sulla condizione umana e sui temi eterni della giustizia e del destino. Come ha dichiarato lo stesso regista, il testo assume agli occhi dello spettatore un valore assoluto: ciò che viene rappresentato sulla scena è una cifra universale, può descrivere allo stesso tempo la saga dei Bharata, la catastrofe di Hiroshima o i recenti avvenimenti in Siria.
Brook afferma di volersi rivolgere ai potenti della terra per chiedere loro come vedono oggi i propri avversari. In un’intervista del maggio 2016, al giornalista che gli domanda: “A cosa pensa quando parla di sfacelo?” risponde “alle guerre, al male, all’indifferenza con cui distruggiamo il nostro pianeta, alla Siria, ai migranti, ai risultati di tutti gli errori umani nel corso dei secoli. Prenda le ondate migratorie cui assistiamo in Europa: la costruzione di muri è ancora una volta la soluzione più semplice, quella che i politici alla Trump sbandierano perché fa credere alla gente che sei forte, potente, che risolvi il problema. E temo che la gente lo seguirà perché la dinamica è la stessa che ha portato alle feroci dittature del Novecento: la gente, lei, io siamo pigri, avere uno che risolve tutto, anche per noi, ci fa tragicamente piacere” (http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2016/05/04/news/peter_brook_povera_umanita_l_indifferenza_ci_seppellira_-139040805/).
Battlefield è dunque un piccolo gioiello teatrale da non perdere: essenziale, poetico, di struggente attualità.

 

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