È la violenza la materia di cui siamo fatti – A history of violence (USA, 2005)

del prof. Lucio Celot

Non è, quello di A history of violence, il Cronenberg “disturbante” della prima fase del suo lavoro, il regista di pellicole come Brood (1979), Scanners (1981), La mosca (1986), fino a Inseparabili (1988), tutti film che hanno declinato il genere horror attraverso la riflessione sul corpo e le sue metamorfosi; piuttosto, è il Cronenberg che, a partire dalle soglie del nuovo millennio, in particolare da Spider (2002), mostra di meno ma riesce a essere altrettanto, se non di più, inquietante e perturbante. Il male irrompe nella banalità di una realtà apparentemente tranquilla e normalizzata, nella routine di una famiglia borghese dell’anonima provincia americana fatta di casa, lavoro, educazione dei figli; la violenza sconquassa e destabilizza un ordine che, evidentemente, è fragile e falsamente conciliante.

Tom Stall (Viggo Mortensen, qui in una magnifica prova d’attore fatta di fisicità esuberante e, al contempo, di una recitazione sottotono adeguata al personaggio), pacifico e tranquillo gestore di un diner, padre di famiglia e marito appassionato, uccide due rapinatori nel proprio locale. Diventa l’eroe locale della piccola comunità e oggetto di interesse per i giornalisti ma, immediatamente, il passato, che Tom aveva accuratamente tenuto nascosto ai propri familiari, ritorna inesorabile: un uomo dal volto sfregiato, Fogarty (Ed Harris), si presenta al locale appellando Tom con il nome di Joey Cusack e facendo oscuri riferimenti ad una precedente vita che Tom-Joey avrebbe vissuto in quel di Philadelphia, presumibilmente come killer al soldo della malavita. Tutto precipita: nonostante la diffida dello sceriffo a ripresentarsi in città, la presenza di Fogarty, che insiste perché Tom faccia ritorno a Philadelphia, si fa sempre più pressante fino a minacciare la stessa famiglia, che a questo punto scopre l’efferato passato del bravo padre e marito. A Philadelphia, suo malgrado Tom-Joey farà i conti con i propri fantasmi, anche familiari, in un bagno di sangue catartico e liberatorio. Forse ritroverà la pace soltanto tra le mura di casa dove la moglie e i due figli sembrano disponibili a riaccettarlo…

A history of violence è una riflessione filosofica sulla componente ontologicamente violenta dell’animale uomo, che cerca il difficile equilibrio tra questa componente naturale, originaria e biologica da un lato e la necessità della convivenza, il bisogno di pacificazione individuale e ricomposizione sociale dall’altro: l’orrore per Cronenberg sta nel fatto che la violenza, il male strisciante dentro ognuno di noi ci sostanzia e sostanzia di sé tutto il mondo, tutta la storia. In questo sta anche l’ambiguità con cui si può intendere il titolo del film, che non è solo, evidentemente, un richiamo alla particolare e individuale storia di Tom ma richiama, in modo universale, la violenza di cui è intrisa l’intera Storia umana. Per quanto lo scisso Tom-Joey si giustifichi agli occhi della sbalordita e incredula moglie ripetendole di non essere più lo stesso uomo che era un tempo, il danno è fatto: violenza è stata commessa, il sangue versato, e la violenza si espande e diffonde come un virus inarrestabile aldilà della volontà di redenzione dell’uomo. Il piatto e il posto a tavola che vengono offerti a Tom in un intensissimo finale fatto solo di silenzio e sguardi alludono ad una ritrovata pace che è, in realtà, solo una tregua. Fino al prossimo erompere della nostra autentica natura ferina.

 

A history of violence (id.)

Regia: David Cronenberg

Distribuzione: USA 2005 (col., 95 min.)

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