EMANUELA ORLANDI: I SEGRETI DEL VATICANO

di Giorgia Maggio e Roberta Schiattarella (3A)
Manifesti per la scomparsa di Emanuela Orlandi

Emanuela Orlandi è nata a Roma il 14 gennaio 1968. All’epoca della scomparsa abitava in Vaticano con i genitori e i quattro fratelli: Pietro, Natalina, Federica e Maria Cristina.
Nel giugno 1983 aveva appena terminato il secondo anno del liceo scientifico presso il convitto nazionale Vittorio Emanuele II, frequentava da anni l’Accademia di Musica, in piazza Sant’Apollinare, dove seguiva i corsi di pianoforte, flauto traverso, canto corale e solfeggio.

Il 22 giugno 1983 Emanuela uscì di casa alle quattro del pomeriggio circa per recarsi alle lezioni di musica in piazza Sant’Apollinare. La lezione di flauto si svolgeva dalle diciassette alle diciotto e quella di canto corale nell’ora successiva. Uscita dalla lezione di canto dieci minuti prima del tempo, Emanuela telefonò a casa da una cabina; rispose la sorella Federica, ed Emanuela le disse che un uomo l’aveva fermata proponendole un lavoro di volantinaggio per la Avon Cosmetics, retribuito con la somma di 375.000 lire (equivalenti a circa 715 € del 2023), da svolgersi durante una sfilata di moda nell’atelier delle Sorelle Fontana che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni; la sorella le sconsigliò di accettare la proposta e le suggerì di tornare a casa per parlarne con la madre. Secondo le ipotesi investigative, la ragazza avrebbe incontrato il presunto rappresentante della Avon prima di arrivare a lezione di flauto. Dopo la telefonata con la sorella, Emanuela aspettò l’uscita delle altre compagne dal corso di canto e insieme a due di esse, Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini, raggiunse la fermata dell’autobus in Corso Rinascimento. Le sue due amiche salirono sull’autobus ma lei decise di voler aspettare il successivo a causa della troppa folla. Da quel momento si persero le sue tracce.

Riguardo la presunta offerta di lavoro fatta ad Emanuela, fu accertato in seguito che la Avon – che peraltro impiegava solo personale femminile – non aveva nulla a che vedere con il fatto, e risultò inoltre che nello stesso periodo altre adolescenti dell’età di Emanuela erano state adescate da un uomo con il pretesto di pubblicizzare prodotti cosmetici in occasione di eventi quali sfilate di moda o altro.
Non vedendo rincasare la figlia, Ercole Orlandi incominciò a cercarla insieme al figlio Pietro presso la scuola di musica e nei dintorni. La denuncia fu formalizzata la mattina seguente (23 giugno); il 24 giugno) i quotidiani romani “Il Tempo” e “Il Messaggero” pubblicarono sia la notizia della scomparsa, sia una fotografia della ragazza, con la richiesta di aiuto della famiglia e i recapiti telefonici.

Papa Giovanni Paolo II e il suo attentatore Ali Agca

Undici giorni dopo la scomparsa della ragazza, Papa Giovanni Paolo II, che come ogni domenica si mostrava alla folla in Piazza San Pietro, disse alcune parole su Emanuela Orlandi. Il suo appello risulta strano, come se sapesse di più sulla vicenda a tal punto da invitare dei presunti rapitori a liberarla. Allo stesso momento, la polizia indagava su qualcosa di completamente diverso. 

Il 5 luglio giunse una chiamata alla sala stampa vaticana. All’altro capo del telefono un uomo, che parlava con uno spiccato accento anglosassone (e per questo subito ribattezzato dalla stampa “l’Americano”) affermò di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi e richiese l’attivazione di una linea telefonica diretta con il Vaticano. Chiamava in causa Mehmet Ali Ağca, l’uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro un paio di anni prima, chiedendo un intervento del pontefice Giovanni Paolo II, affinché venisse liberato entro il 20 luglio. Un’ora dopo, l’uomo chiamò casa Orlandi, e fece ascoltare ai genitori un nastro con registrata la voce di una ragazza con inflessione romana, forse di Emanuela, che ripeteva sei volte una frase, forse estrapolata da un dialogo più lungo: Scuola: Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo scientifico.

Il 17 luglio fu fatto ritrovare un nastro, in cui si confermava la richiesta di scambio con Ağca, la richiesta di una linea telefonica diretta con il cardinale Casaroli, e si sentiva la voce di una ragazza che implorava aiuto, dicendo di sentirsi male: fu però appurato che la voce era stata estrapolata da un film e non era quella di Emanuela. La linea fu installata il 18 luglio. Alcuni giorni più tardi, in un’altra telefonata, “l’Americano” chiese allo zio di Emanuela di rendere pubblico il messaggio contenuto sul nastro, e di informarsi presso il cardinale Agostino Casaroli, riguardo a un precedente colloquio. In totale, le telefonate dell’Americano furono sedici, tutte da cabine telefoniche. Nonostante le richieste di vario tipo, e le presunte prove, l’uomo (mai rintracciato) non aprì nessuna reale pista. Infatti non furono mai prodotte prove che dimostrassero l’esistenza in vita di Emanuela né tantomeno che la ragazza fosse effettivamente ostaggio dei Lupi Grigi, l’organizzazione di cui Ağca faceva parte.

Il 18 luglio del 2005, alla redazione del programma “Chi l’ha visto?”, in onda su Rai 3, arrivò una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il caso di Emanuela Orlandi era necessario andare a vedere chi fosse sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare e indagare sul “favore che Renatino fece al cardinal Poletti”. Si scoprì poi che il defunto altri non era che uno dei capi della Banda della Magliana, Enrico de Pedis. La Basilica di Sant’Apollinare è una Chiesa che appartiene al Vaticano e nessuno può esservi sepolto, se non si ottiene un permesso speciale oppure se non si è fatto un grande favore al Vaticano.

“Renatino” De Pedis

Sempre nel 2006, Raffaella Notariale raccolse un’intervista di Sabrina Minardi, che tra la primavera del 1982 e il novembre del 1984 ebbe una relazione con De Pedis. Nel particolare, la Minardi ha raccontato di essere arrivata in auto (una Autobianchi A112 bianca) al bar del Gianicolo, dove De Pedis le aveva detto di incontrare una ragazza che avrebbe dovuto “accompagnare al benzinaio del Vaticano”. All’appuntamento arrivarono una BMW scura, con alla guida “Sergio”, l’autista di De Pedis, e una Renault 5 rossa con a bordo una certa “Teresina” (la governante di Daniela Mobili, amica della Minardi) e una ragazzina confusa, riconosciuta dalla testimone come Emanuela Orlandi. “Sergio” l’avrebbe messa nella BMW alla cui guida andò la Minardi stessa. Rimasta sola in auto con la ragazza, la donna notò che questa “piangeva e rideva insieme” e “sembrava drogata”. Arrivata al benzinaio, trovò ad aspettare in una Mercedes targata Città del Vaticano, un uomo “che sembrava un sacerdote” che la prese in consegna.

L’interno della Basilica di Sant’Apollinare a Roma

I pm indagarono sulla sepoltura di De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare. La circostanza, comparsa per la prima volta in un articolo del “Messaggero” negli anni Novanta, viene spiegata con l’amicizia tra De Pedis e don Piero Vergari, rettore della Basilica. I due si sono conosciuti quando Renatino era in carcere a Regina Coeli perché Vergari faceva volontariato con i detenuti. Vergari fu il prete che officiò il matrimonio tra Renatino e Carla Di Giovanni. Secondo i testimoni, Vergari, alla morte di De Pedis, diede l’assenso alla sepoltura, dopo aver chiesto il permesso al cardinale Ugo Poletti, perché gli eredi di De Pedis avevano promesso di svolgere dei lavori nella cripta fatiscente dove la salma sarebbe stata ospitata. I parenti di De Pedis affermarono di aver pagato quei lavori 37 milioni di lire in contanti. In un’intercettazione ambientale del 2009 uno dei bracci destri di De Pedis affermò che all’epoca pagarono invece 600 milioni a Poletti per la sepoltura. E quando si parla di scandali finanziari, soldi della Mafia, Banca Vaticana e corruzione negli anni ‘80 non si può non fare il nome di Roberto Calvi.

Roberto Calvi e il “Blackfriars Bridge” a Londra

Roberto Calvi era presidente del Banco Ambrosiano, una delle più grandi banche private in Italia, considerata una “banca cattolica”: per questa ragione egli era anche chiamato “Il Banchiere di Dio” e aveva un rapporto stretto con la Banca Vaticana, diretta da un arcivescovo americano, Paul Marcinkus. Sia Papa Giovanni Paolo II che l’arcivescovo erano fortemente anticomunisti. In quel periodo, con lo scenario della guerra fredda, ci furono un Presidente degli Stati Uniti e un Papa con un interesse comune, il collasso dell’Unione Sovietica e del Partito Comunista. Secondo le Indagini il Banco ambrosiano riceveva soldi da investitori privati e dalla Mafia. Roberto Calvi non poteva utilizzare il denaro liberamente perché la banca era soggetta al controllo dei cambi, Interventi della pubblica autorità sui movimenti valutari in entrata e in uscita, così decise di mandare il denaro alla Banca del Vaticano, uno stato diverso e soprattutto con regole finanziarie diverse e senza alcun tipo di controllo. Dalla Banca Vaticana i soldi andavano a società di facciata per essere riciclati. Marcinkus e Calvi aprirono una società a Nassau, alle Bahamas, dove incanalarono 500 milioni di dollari. Ripulito, il denaro poi ritornava al Banco Ambrosiano e successivamente alla Mafia con molti profitti. Il gruppo bancario, dopo un po’ andò in bancarotta, Calvi fece perdere le sue tracce e venne poi misteriosamente trovato morto a Londra.

Il flauto di Emanuela Orlandi a “Chi l’ha visto?”

Dopo numerosi anni, passati senza nuovi sviluppi, nel 2013 durante un’altra puntata di “Chi l’ha visto?” venne mostrato un flauto che sembrava appartenesse ad Emanuela. Lo strumento musicale venne ritrovato in seguito a una segnalazione anonima e rinvenuto nel luogo indicato, avvolto in alcuni fogli di giornale. Uno di quei quotidiani era del 29 maggio del 1985 e riportava un articolo relativo al caso Orlandi. Il flauto, prova “regina” di questo rapimento, avvenuto nel 1983, riconosciuto come autentico dai familiari della ragazza, è stato sezionato ed esaminato per cercare tracce di dna. Le prove non erano sufficienti; “Del flauto me lo dissero subito – dichiarò Pietro Orlandi – che per cercare di trovare tracce di dna fu completamente distrutto, sezionato in ogni parte per esami irripetibili”, ma comunque non fu mai accertato che lo strumento appartenesse alla ragazza.
La Chiesa negò sempre l’esistenza di documenti ed immagini interne che provassero la sua complicità nella scomparsa di Emanuela ma a seguito dello scandalo chiamato “Vatileaks”, una vera e propria fuga di notizie private riguardanti attività finanziarie del Vaticano che avvenne tra il 2012 e il 2015, tutto cambiò.

Locandina pubblicitaria del libro di E.Fittipaldi

Durante il processo, un prete, segretario di una Prefettura degli Affari Economici venne chiamato a testimoniare ed affermò che due anni prima un uomo era entrato nel Ministero Vaticano con delle chiavi (quindi senza lasciare tracce) e che però aveva utilizzato la fiamma ossidrica per scassinare una delle numerose grandi casseforti che si trovavano al secondo piano e aveva rubato una serie di documenti riservati che riguardavano investimenti politici e scambi finanziari del Vaticano. Alcuni di questi documenti vennero ritrovati insieme ad un dossier segreto su Emanuela Orlandi. Ciò significava che il Vaticano aveva nascosto questi documenti alle indagini per oltre 30 anni. Il giornalista Emiliano Fittipaldi grazie ad una delle sue fonti riuscì ad entrare in possesso di cinque pagine fotocopiate che sembravano essere una lettera di accompagnamento del dossier segreto, molto più corposo il quale aveva registrate numerose spese compiute per Emanuela da uomini del Vaticano.
Tutte queste spese si riferivano al periodo compreso tra il 1983 e il 1997. Un particolare molto importante è da osservare nella seconda pagina, “alloggio 176 Chapman Road Londra”; a seguito di numerose indagini si scoprì che era presente un errore di battitura e che la strada era “Clapham Road”; in questa strada si trova un ostello per ragazze di proprietà dei Padri Scalabrinani, una congregazione religiosa cattolica che tutt’oggi ha una connessione fortissima con il Vaticano; sul posto non vennero però trovate nove informazioni. L’ultimo pagamento può farci pensare che Emanuela abbia vissuto per 15 anni a Londra e che a seguito della sua morte il suo corpo sia stato riportato in Vaticano per poi essere seppellito.

Nel 2018 L’avvocato della famiglia Orlandi, Laura Sgrò prima di recarsi in studio trovò una lettera nella sua cassetta della posta senza intestazione né destinatario con su scritta un’unica frase “se vuoi trovare Emanuela, cerca dove guarda l’angelo”. Il Vaticano ha solo due luoghi di sepoltura, uno sotto la Chiesa di Sant’Anna, l’altro che è il cimitero Teutonico. Una volta arrivata insieme a Pietro Orlandi trovarono l’angelo e dopo aver ottenuto il permesso dal Vaticano, vennero aperte la tomba con sopra la statua e quella adiacente.

L’ 11 luglio 2019 le due tombe vennero aperte e sotto la lastra di marmo trovarono un grande fossa, di circa 3 metri senza però ossa e resti; continuando a scavare nella zona delle due tombe trovarono poi due botole dentro le quali furono rinvenuti 26 sacchi di ossa che nonostante la richiesta del vaticano di archiviare il caso, solo a distanza di due anni sono state analizzate, e non sono stati trovati tessuti biologici appartenenti ad Emanuela.

Oggi Emanuela Orlandi avrebbe 56 anni, il mistero della sua scomparsa continua a restare insoluto e rappresenta una delle pagine più oscure ed inquietanti della storia italiana, perché le connessioni, gli intrighi, gli interessi tra la Chiesa e lo Stato italiano sono materia complessa, misteriosa e difficile da accettare.

Per saperne di più:E.Fittipaldi, Gli impostori. Inchiesta sul potere, Feltrinelli 2017

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