I giganti: El hombre del pueblo. Agorà del calcio

Di Salvatore Monaco

Giocare contro Maradona è come giocare contro il tempo perché sai che, prima o poi, o segnerà o farà segnare.

(Arrigo Sacchi)

Credo che uno dei grandi privilegi di chi fa questo mestiere sia dare felicità alla gente, e lui certamente rappresenta meglio di tutti questo concetto.

(Alessandro Del Piero)

Maradona è un artista del pallone, fischiare lui perché antipatico è come fischiare Picasso perché comunista.

(Italo Allodi)

 

Queste sono solo alcune delle innumerevoli citazioni, degli innumerevoli elogi che molti personaggi del mondo del calcio hanno dedicato a colui che è considerato da molti il più grande della storia, D10S:

Diego Armando Maradona.

 

Diego nasce a Lanùs il 30 ottobre 1960, una delle periferie più povere e malfamate di Buenos Aires, ma per fortuna lui ha qualcosa che lo aiuterà ad uscire dal quel fatiscente barrio. Infatti Diego ha un piede sinistro mai visto prima che viene notato dall’Argentios Junior che infatti lo mette sotto contatto fino a farlo esordire tra i profesionisti nel ’76. Maradona con le Bichos Colorados collezionerà 116 gol in 166 partite per poi passare nel 1981 alla sua squadra del cuore, quella per cui fa il tifo fin da bambino: il Boca.

Diego arriva nella leggendaria Bombonera a 21 anni, stadio appunto storico ma che cadrà ai suoi piedi, come il mondo intero, a suon di giocate eccezionali e gol da capogiro come quello segnato in un Superclasico contro il River scartandosi, come al suo solito, tutta la difesa portiere incluso prima di segnare. Nel ’82 però arriva l’opportunità che può cambiargli la vita, chiama il Barcellona, non si può rifiutare. In Catalogna, Maradona vincerà una Coppa del Rey e un Supercoppa spagnola, anche se comunque i suoi due anni in blaugrana sono molto difficili. Diego infatti a seguito di un intervento di Goikoetxea si infortuna alla caviglia per molto tempo, tornato dall’infortunio el Pibe de Oro decide di vendicarsi entrato in maniera orrenda sullo stesso Goikoetxea durante una partita con il Bilbao. Si scatenò una rissa violentissima proprio sotto gli occhi del re Juan Carlos presente allo stadio.

Per Diego è meglio cambiare area. Il Barba, come lui simpaticamente chiama l’Onnipotente, lo porta in una città nella quale scriverà la storia: Napoli. A Napoli Diego vincerà, ed anche tanto, infatti conquisterà 2 scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana ed una Coppa UEFA, ma soprattutto entrò in completa simbiosi con la città e con i napoletani che lo trattarono come un re. Ma l’apice della sua carriera sta per arrivare, infatti a Messico ’86 riuscirà a coronare il suo sogno ovvero vincere il mondiale con l’ Argentina. Quella non è un’ edizione come le altre, infatti Diego non è un giocatore come gli altri, Diego è magico, divino e quel campionato del mondo è così, trasuda magia e spettacolo e chi ama il calcio guardando le giocate di Diego non può negare che sia così. Sfido chiunque a dire che infatti la partita contro l’Inghilterra sia qualcosa di ordinario. Nel giro di 6 minuti Maradona prima segna con la Mano de Dios, come dirà lui nelle interviste post partita(e beh come dargli torto), e poi compie qualcosa di pazzesco, qualcosa appunto di divino che solo la poetica telecronaca di Victor Hugo Morales poteva descrivere. Il radio cronista riesce a riassumere il tutto in una sola frase appena la palla viene depositata in rete, esclama infatti “Viva el futbol”.

Forse parlare della incredibile carriera di Diego è stato superfluo, tutti la conoscono chi più e chi meno, come tutti conoscono Maradona come uomo, perché tutti ne hanno parlato, tutti hanno espresso opinioni sulle sue contraddizioni e sui suoi errori, perché è appunto di tutti. Errori che però rendono la sua figura ancora più leggendaria, perché Diego, che oggi ha quasi 60 anni, non ha vissuto una sola vita come noi, ma dopo ha iniziato a vivere di nuovo ogni volta che si è rialzato, ogni volta che è riuscito a battere anche se stesso per andare avanti, perché Maradona è un uomo fragile ma è la tenacia e la testardaggine che lo caratterizzano nel voler raggiungere i propri obiettivi e nel voler superare le difficoltà. Ciò rende Diego un esempio. Perché un uomo che cade da altezze siderali facendosi malissimo, ma che riesce a rialzarsi, è indubbiamente un esempio. I paragoni con i grandi di oggi ci sprecano, uno sutti ovviamente Messi, ma El Pibe ha indubbiamente un carisma che attrae molto di più della Pulga. Diego è l’attore protagonista non solo della sua vita, ma sembra il centro di un disegno divino che lo ha reso il più grande di tutti, come se il destino, oltre ad un talento meraviglioso, gli abbia donato il potere e l’opportunità di stringere l’intero mondo in un pugno, come se ogni suo gesto e giocata fosse quello di un predestinato che sia in grado di cambiare la storia del calcio e non solo e ad entrare nell’immaginario comune come protagonista di libri, murales e di un culto paragonabile ad una vera e propria religione.

Lui è l’uomo del popolo, è colui che incarna perfettamente cos’è il calcio, ovvero gioia ed estasi allo stato puro. Diego è un liberatore, Diego è una sorta di Che Guevara di Napoli, città che ha portato sul tetto di Italia per la prima volta, città che ha finalmente avuto un riscatto sociale che tanto aspettava e meritava, città che lo ha elevato a Dio facendolo entrare di diritto nella nostra cultura, infatti Diego è osannato ancora oggi,  anche noi che non lo abbiamo mai visto giocare, ci emozioniamo guardando le immagini, ci emozioniamo solamente parlandone, fino a sentirlo vicino come se giocasse oggi, come se fosse un nostro amico con cui abbiamo condiviso tante gioie ed uno da difendere di fronte a qualsiasi accusa.

Tutto questo perché Diego, come dice lui stesso, non sarà mai un uomo comune.

Un pensiero su “I giganti: El hombre del pueblo. Agorà del calcio

  • 26 Aprile 2020 in 17 h 28 min
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    Bellissimo articolo!Sei riuscito a farmi emozionare come quando andavo a vedere el pibe in giro per l’Italia!Grande💙

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