Lo spessore di un romanzo immorale 

di Ginevra Fracasso 2A

Lolita (V.Nabokov, 1955)


Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti.
Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.
Così inizia il romanzo di Vladimir Nabokov che, fin dalla pubblicazione avvenuta a Parigi nel 1955, ha suscitato scalpore a causa della scabrosità degli argomenti trattati.
Humbert Humbert, professore di letteratura francese di quasi quarant’anni, s’invaghisce di una dodicenne, la quale poi diverrà la sua figliastra, Dolores Haze, da lui soprannominata intimamente Lolita. Nabokov, attraverso la storia di un intensissimo sentimento fuori dagli schemi e da ogni convenzione, conduce il lettore ad avventurarsi nelle pieghe più riposte dell’invisibile e confuso margine che determina il confine tra amore e ossessione.
Leggere Lolita comporta il doversi spogliare da ogni morale e abbandonarsi completamente al corposo flusso delle parole, le quali trasmettono al lettore una passione ossessiva fino al midollo, logorante e perversa che, se nella prima parte del romanzo sembra quasi essere velata dal professore attraverso una sorta di orazione in difesa di sé stesso, poi, man mano che ci si addentra nell’anima dell’opera, viene immancabilmente a galla, e ogni tentativo da parte di Humbert di giustificarsi sfuma, lasciando spazio a emozioni contrastanti e consumate dalla mania della possessione, dettata dallo scontro tra un discutibile “affetto paterno” e il desiderio carnale che lo penetra sino alle ossa.
“Se mi tocchi, muoio”.
Lolita è un viaggio nei meandri più oscuri dell’animo umano e dei suoi impulsi, è una storia tormentata e diversa, destinata a coloro che sono in grado di mettere da parte ogni giudizio mosso dal moralismo, ma soprattutto che si rendono capaci di rapportarsi al romanzo nella sua interezza per cogliere e apprezzare l’opera nel suo insieme, considerata inoltre da Pietro Citati, critico e scrittore XX secolo, “di tale potere verbale, forza romanzesca e scintillante alterigia” da conferire alle parole elevatissime di Nabokov una sofisticatezza esemplare che ha reso il libro un’eccellenza del secolo scorso.
“Oh, non guardarmi con quel cipiglio, lettore! Non voglio farti pensare che non riuscissi a essere felice”.


La copertina dell’edizione Adelphi con un fotogramma del film di Stanley Kubrick


                                                                                               

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