Scindere l’io per produrre di più e meglio – Scissione (USA, 2022)

del prof. Lucio Celot

Inquietante e intrigante: sono i primi due aggettivi che vengono alla mente pensando all’ennesima produzione di Apple TV+, al momento la piattaforma che quanto a qualità si presenta come il top della serialità televisiva. Severance, il cui pilot pare fosse già pronto la bellezza di cinque anni fa, giunge al momento opportuno, dopo che al termine (?) di due anni di pandemia stiamo riflettendo sulle profonde metamorfosi che il concetto di lavoro ha subito. Smart working, vita lavorativa/vita privata, mediazione tecnologica, solitudine, isolamento, difficoltà relazionali: la dimensione professionale è stata sviscerata da sociologi e neuropsichiatri in tutte le sue fragilità e limiti, ponendoci di fronte a interrogativi che fino ad ora erano rimasti sottotraccia ma che sono emersi in tutta la loro dilemmaticità e drammaticità. Ben venga, allora, un office drama che infila il dito nella piaga dell’alienazione e dello stress da prestazione professionale attraverso un thriller distopico claustrofobico che cresce progressivamente in tensione nel corso della narrazione fino all’ultimo episodio e al cliffhanger che chiude la prima stagione.

Alla Lumon Industries, i neoassunti si sottopongono volontariamente alla cosiddetta scissione, una procedura chirurgica che consiste nell’inserimento nel cervello di un microchip grazie al quale gli impiegati assumono una personalità dimidiata: durante le otto ore di lavoro non ricordano né sanno alcunché della loro vita privata (chi sono i loro cari, se sono sposati, se hanno figli, chi sono i loro amici: tabula rasa totale…); specularmente, quando sono fuori dall’ambiente di lavoro recuperano conoscenze e ricordi della dimensione privata e personale ma sono del tutto ignari di cosa facciano e di quale sia la loro mansione alla Lumon (chi siano i loro colleghi, i superiori, etc.). Il passaggio da una personalità all’altra avviene nell’ascensore che collega l’esterno della Lumon agli uffici dei vari reparti.

Nello stesso individuo, dunque, coesistono due persone diverse, inconsapevoli l’una dell’altra: l’”interno”, cioè l’impiegato, il caporeparto che svolge le proprie mansioni e vive le normali relazioni professionali con altri scissi come lui; l’”esterno”, che vive invece la propria vita privata al di fuori della sfera professionale. Gli uffici della Lumon sono ampi, illuminati da luce fredda, arredati all’insegna di un gelido minimalismo che conferisce un’atmosfera asettica agli ambienti; ma sono collegati tra loro da un labirintico sistema di corridoi apparentemente tutti uguali, nei quali i protagonisti si aggirano simili a cavie da laboratorio. Mark Scout è il nuovo team leader della divisione Macrodata Refinement, i cui colleghi sono Dylan, Irving (John Turturro) e la neoassunta Helly: tutti e quattro ignorano quale sia la finalità del loro lavoro (archiviare in cartelle digitali una serie di numeri che fluttuano costantemente sugli schermi dei loro pc) ma accettano, fino a un certo punto, di adeguarsi all’etica, ai valori e alla disciplina della Lumon (su cui vigila una fredda e distaccata dirigente, l’anempatica signora Cobel, interpretata da un’invecchiata e irriconoscibile Patricia Arquette), sottoponendosi anche agli assurdi riti aziendali che giungono periodicamente a dare uno scossone alla monotonia di giorni tutti uguali (un buffet per festeggiare il raggiungimento di un obiettivo, una piccola pausa musicale, un waffle-party…). I topi da laboratorio, però, cercano sempre una via d’uscita dal loro labirinto: Helly, l’ultima arrivata, vuole riprendersi l’interezza della propria vita, è sconvolta dagli effetti della scissione, tenta perfino il suicidio per abbandonare la condizione di estraneazione da sé: la sua determinazione convincerà il resto del gruppo a indagare sulle reali finalità della Lumon, fino alle sconvolgenti rivelazioni dell’ultimo episodio.

Aldilà dell’indiscutibile qualità della serie (scenografie, fotografia ma anche scrittura e costruzione/evoluzione dei personaggi sono curatissime), Severance si presenta come una riflessione di carattere filosofico sugli eterni temi della memoria e dell’identità, sulla costruzione del nostro io e sulla difesa della sua integrità, sul bisogno dell’uomo di preservare il proprio equilibrio interiore anche facendosi carico della sofferenza: Mark, il protagonista, ha accettato la scissione per poter dimenticare, sia pure solo per poche ore al giorno, il dolore per la perdita dell’amata moglie Gemma; Irving probabilmente vive male la propria omosessualità, che il suo “esterno” sublima dipingendo ossessivamente sempre lo stesso angosciante quadro di cui è piena la sua abitazione. Ma, per quanto dimenticare ci possa dare un sollievo momentaneo, il desiderio di sapere è più forte: Helly (che nell’ultimo episodio scopriremo essere molto più di quanto appaia) trascina Mark alla scoperta della verità sulla Lumon, e questa verità (come ci ha insegnato la tragedia antica) porta con sé inevitabilmente altro dolore.

Severance è una sorta di Black mirror post pandemico: dopo che per due anni abbiamo provato, non senza un senso finale di alienazione e deprivazione sociale, cosa significhi “portarsi il lavoro a casa”, la serie indaga l’altro versante della questione, radicalizzandola e trasformandola in un’inquietante distopia: cosa succederebbe se riuscissimo a liberarci totalmente delle cure e delle preoccupazioni della vita privata quando siamo al lavoro? Nessun dubbio sul fatto che la nostra produttività aumenterebbe in qualità e quantità, con grande soddisfazione dei nostri superiori e capi; ma nessun dubbio nemmeno sul fatto che il prezzo da pagare sarebbe altissimo per una posta in gioco che è nientemeno che la risposta alla domanda delle domande: chi siamo?

 

Scissione (Severance), USA 2022

Stagione 1 (ep.1-9)

Distribuzione: Apple TV+

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