Vite da perdenti nella città in bianco e noir: Sin City di Frank Miller

del prof. Lucio Celot

Cosa sarebbero il noir e l’hardboiled senza la città, Il mistero del falco senza San Francisco e la sua baia, La città nuda senza le luci di New York, Chinatown senza l’assolata e tentacolare Los Angeles o Blade Runner senza la versione futuribile della Città degli Angeli, eternamente piovosa e notturna? “La città è il luogo noir per eccellenza […] come luogo di perdizione e di violenza […] come labirinto notturno, costellazione di spazi seducenti e minacciosi, luogo di inganni e di corruzione”, scrive un critico a proposito del genere cinematografico le cui due figure chiave sono il detective privato e il criminale: il primo rappresenta lo sguardo critico ed etico su una società cui si sente estraneo pur facendone parte; il secondo è l’incarnazione dell’ambiguità di quella stessa società, di un dinamismo amorale che comporta tragiche contraddizioni. Entrambi i personaggi segnano un trapasso simbolico dall’America di frontiera all’America metropolitana, spostando in un contesto urbano le mitologie e le rappresentazioni della violenza. Il riferimento principale del crime-movie è il western della fine della frontiera: il mondo, in questo caso quello urbano, ha perso i suoi connotati di sicurezza e promessa per diventare un labirinto di incertezze e di menzogne che l’eroe (là il pistolero, qui il detective) deve percorrere fino in fondo, qualunque sia la risoluzione del mistero, spesso amara e per nulla conciliante. Il noir, insomma, racconta il malessere e il disagio dell’uomo contemporaneo dentro la società di massa e il suo ineluttabile destino di sconfitta quando tenta di imporre un punto di vista “altro” rispetto ad un mondo che ha perso la bussola.

È al cinema noir degli anni ’40, quello classico di John Huston e Humphrey Bogart, delle dark ladies e delle bad girls tanto seducenti quanto perfide e ai romanzi hardboiled di Mickey Spillane con i suoi detective duri e violenti che Frank Miller, tra il 1991 e il 2000, tributa il proprio omaggio con le storie di Sin City. Di Miller (di cui abbiamo già parlato qui a proposito della sua rilettura del personaggio di Batman) basti dire che, insieme a Will Eisner e Alan Moore, ha rifondato con il suo stile grafico e la sua scrittura l’arte del fumetto e rivisitato il mondo dei supereroi: suoi sono, oltre alla trilogia di Batman (Anno uno, Il ritorno del cavaliere oscuro, Il cavaliere oscuro colpisce ancora), anche Elektra, Devil e il più noto 300.

Frank Miller

Nella produzione di Miller, Sin City costituisce un mondo a sé: i sette volumi comprendono sia lunghe storie complete che racconti, tutti ambientati nella “città del vizio”, con alcuni personaggi ricorrenti (Marv, Nancy e Miho tra tutti) le cui storie personali si intrecciano nell’arco della narrazione. E siccome “cinema noir” significa innanzitutto nostalgia per il bianco e nero di quei vecchi film, ecco spiegata la scelta grafica di Miller, tavole in bianco e nero senza sfumature di grigio, una bicromia che vuole essere una sorta di correlativo visivo del manicheismo di cui sono impregnate le sue storie: niente ambiguità, si capisce subito dove sta il bene e dove il male, anche se gli agenti del bene uccidono per fare giustizia dove la legge di Sin City (corrotta fino al midollo) non può e non vuole arrivare.

Marv in azione

Non c’è, dunque, un unico eroe che si ripresenta in ogni storia di Sin City, ma ci sono solo dei comprimari, perché l’unica protagonista è lei, la città, un corpo marcio che infetta tutti i suoi abitanti: poliziotti corrotti, ambigui uomini di potere, la “sorellanza” delle prostitute della Città Vecchia, dove nemmeno la polizia può entrare e, soprattutto, loro, i losers, i perdenti che abitano il mondo notturno. Marv, Dwight, John Hartigan si trovano, loro malgrado, a rappresentare l’istanza etica del noir: destinati a soccombere alle logiche perverse del potere ma non per questo meno determinati a fare giustizia a modo loro, prendendo le parti dei più deboli, ragazzine rapite da serial killer psicopatici o prostitute ammazzate perché sanno e hanno visto troppo. I “perdenti” di Miller sono gli ultimi eroi romantici, vincono anche quando perdono, persino se finiscono sulla sedia elettrica, perché sono la voce che denuncia l’ipocrisia di una società fondata sul male, sul denaro, sulla corruzione fisica e morale.

Dwight McCarthy in Una donna per cui uccidere

E poi c’è l’universo femminile di Sin City: le dark ladies, presenza obbligata nell’universo noir, ai cui piedi cadono e si perdono gli uomini, conturbanti e autentici mostri di avidità e doppiogiochismo come Ava o Occhi Azzurri che usano l’arma della seduzione e del sesso per ottenere il proprio tornaconto; le prostitute della Città Vecchia che con la stessa disinvoltura ti offrono sesso a pagamento o ti crivellano di colpi se non sei ospite gradito (memorabile la figura di Miho, ninja silenziosa quanto spietata e letale) ma ti assistono, curano e ti difendono con i denti se sei un povero cristo senza scampo inseguito dalla polizia; donne ingenue e indifese, vittime della brutalità maschile che innescano, loro malgrado, la catena di violenze a raffica che è la cifra distintiva delle storie di Miller.

Ava, la femme fatale
Miho, la prostituta-ninja della Città Vecchia

Le tavole di Miller rispondono ad un’estetica di tipo cinematografico, con frequenti inquadrature dall’alto, e un montaggio delle scene rapido e martellante, reso ancora più dinamico dalla bicromia in cui l’uso del bianco conferisce alle pagine dei tagli di luce sorprendenti e violenti; lo stesso uso della voice-off, della voce fuori campo in molte delle storie di Sin City è un tratto tipico della poetica noir sul grande schermo: lo stile visivo dell’artista americano è, insomma, puro cinema già sulla carta, per cui non deve stupire se Robert Rodriguez, pupillo di Tarantino e regista pulp (suoi Four Rooms, Dal tramonto all’alba, C’era una volta in Messico, Machete) ha girato due film, totalmente in digitale, ispirato alle storie di Miller.

Peccato ed espiazione, degrado e rinascita morale, egoismo e sacrificio di sé, violenza e amore: non consentono vie di mezzo le vite in bianco e nero dei perdenti della città del vizio. 

I sette volumi di Sin City (pubblicati tutti da Magic Press):

Un duro addio

Una donna per cui uccidere

Un’abbuffata di morte

Quel bastardo giallo

Affari di famiglia

Alcol, pupe & pallottole

All’inferno e ritorno

I film:

Sin City, regia di R.Rodriguez, F.Miller, Q.Tarantino, USA 2005 (b/n e col., 124 min.);

Sin City – Una donna per cui uccidere, regia di R.Rodriguez e F.Miller, USA 2014 (b/n e col., 102min.)

Il passo citato tra virgolette e le successive considerazioni sul genere noir sono tratte da R.Venturelli, L’età del noir, Einaudi 2007.

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