Ascesa, caduta e decostruzione del supereroe a fumetti: Watchmen 35 anni dopo (prima parte)

del prof. Lucio Celot

(N.B.: il testo che segue, diviso in due parti, è la rielaborazione di una lezione tenuta al “Pansini” in occasione dell’uscita nella sale nel 2009 di Watchmen di Z.Sneider, trasposizione cinematografica del celebre graphic novel di Moore e Gibbons)

Definizione di SUPEREROE: un personaggio eroico con una missione disinteressata ed a favore della società; chi possiede superpoteri, tecnologia molto avanzata, abilità mistiche o doti fisiche e/o mentali molto sviluppate; chi ha una super-identità ed un costume che funge da icona, […]) ed è generalmente distinto, cioè può essere distinto dagli altri personaggi del relativo genere (fantasy, fantascienza, poliziesco, etc) da una preponderanza di convenzioni generiche. Tipicamente i supereroi hanno duplici identità, di cui quella non comune viene tenuta ben celata.

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È più o meno nota a tutti la gamma di attributi che caratterizzano il supereroe “classico”: poteri e abilità straordinari, maestria relativa ad un’abilità e/o equipaggiamento avanzato; la volontà di rischiare la propria incolumità al servizio del bene senza aspirare a una ricompensa; la motivazione specifica come la vendetta (Batman) o uno spiccato senso di responsabilità (Uomo Ragno); l’identità segreta; un vistoso e distintivo costume spesso usato per celare l’identità segreta; un nemico principale (il supercattivo o supercriminale) a cui affiancare, eventualmente, una vera e propria famiglia di avversari; una debolezza insolita che limita il personaggio o lo mette in una situazione di pericolo quando il nemico intende sfruttare questa debolezza; è ricco e non ha bisogno di lavorare (come Bruce Wayne, alias Batman) oppure ha un’occupazione che richiede una minima supervisione così da non dover rendere conto dei propri movimenti (ad esempio, Clark Kent fa il giornalista); infine, l’elaborata storia delle origini, che spiega le circostanze in cui il personaggio ha acquisito le proprie abilità e le motivazioni che lo spingono a usarle per combattere il male.

Superman, Batman e i rispettivi “villains” nelle strisce degli anni ’40

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In principio fu la Golden Age: nel giugno del 1938 Jerry Siegel e Joe Shuster introdussero la figura di Superman (tuttora considerato il primo supereroe, quello che inaugura molte delle convenzioni che avrebbero definito il genere) nel n. 1 di Action Comics; l’anno successivo Bob Kane ideò Batman, l’uomo-pipistrello (che, differenza dell’alieno Superman, non ha superpoteri ma ha affrontato un duro apprendistato in Oriente). Entrambi legati a scenari urbani e avveniristici, Superman e Batman furono un enorme successo per la DC Comics che, nei mesi seguenti, introdusse Aquaman, Hawkman, Flash, Lanterna Verde e Wonder Woman, la prima supereroina e la sola significativa per un certo periodo.

Negli stessi anni la Marvel Comics muoveva i primi passi proponendo al pubblico eroi e protagonisti della seconda guerra mondiale insieme a Capitan America. Nel frattempo, negli anni Quaranta, dopo una lunga esperienza sulle strisce giornaliere, Will Eisner diede vita, con grande successo, al personaggio di Spirit, detective con la maschera sul volto e con caratteristiche che lo accomunano ai supereroi.

Durante il secondo conflitto mondiale, i supereroi divennero ancora più popolari: la ricerca di racconti semplici di vittorie del bene sul male che potessero consolare o fare parzialmente dimenticare gli orrori del momento spiega il grande successo che ebbero in tempo di guerra. A questa ricerca da parte dei lettori, i creatori di fumetti risposero con storie in cui i supereroi combattevano le forze dell’Asse e ne introdussero alcuni ispirati ai temi patriottici, tra i quali il Capitan America della Marvel, che in più di un’occasione salva il mondo dalla minaccia nazista. In questi anni, dunque, Superman e Capitan America diventano i perfetti “eroi-patrioti”, i difensori della legalità, della moralità e dei principi americani; la forza e le supercapacità di Superman vengono assoggettate alle esigenze dell’establishment politico e agli interessi di governo. Il supereroe, insomma, può stare da una sola parte, l’american way of life, e irridere e disprezzare tutto ciò che a quei valori si oppone. Il supereroe è divenuto un servo fedele.

La celebre copertina in cui Capitan America prende a pugni Hitler

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Poi venne il declino: la ritrovata serenità del pubblico americano doveva fare i conti con la paura più o meno inconscia di tutta l’umanità: la bomba atomica. L’angoscia per un altro scontro planetario dalle conseguenze catastrofiche e il proliferare degli arsenali atomici cambiarono tutta la cultura di massa dell’epoca. Solo Batman e Superman sopravvissero all’interno di una produzione editoriale che prediligeva altri generi, dal western al musical, dal poliziesco al bellico, alla commedia rosa.

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E, infine, la Silver Age. Tra la metà degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 i personaggi furono rinverditi e rilanciati con un taglio più moderno e fantascientifico, sebbene ancora più ideologizzato: nel 1950 iniziava, ad opera del senatore McCarthy, la caccia alle streghe, cioè la repressione delle attività antiamericane contro tutte quelle intelligenze e quei circuiti creativi (cinema, letteratura, comics, etc.) considerati perturbanti o non in linea con le direttive governative. Il clima anticomunista e inquisitorio rilanciò e trasformò il supereroe in un portabandiera dello stesso anticomunismo, impegnato nella lotta contro il “pericolo rosso” e a sventare complotti congegnati dai russi e dai cinesi. Il villain dei fumetti dava corpo alla paura dell’invasione straniera o del conflitto atomico, e il supereroe ritrovava slancio e vigore.

Stan Lee, editore/autore della Marvel Comics, gli artisti/co-autori Jack Kirby e Steve Ditko e altri illustratori lanciarono una linea di supereroi, iniziando con i Fantastici Quattro nel 1961. La mutazione subita dal quartetto metteva per la prima volta in scena un elemento chiave che farà da sfondo alle altre pubblicazioni della Marvel: la radioattività. Prendono così corpo altre paure di massa: i Fantastici 4 oggettivano il timore della catastrofe e delle sue conseguenze e si propongono come primi rappresentanti di una nuova concezione della scala evolutiva in cui gli esperimenti scientifici, gli errori/orrori tecnologici e di laboratorio giocano un ruolo attivo.

I Fantastici Quattro

La Cosa, l’Uomo Ragno, Hulk, gli X-Men differiscono sensibilmente dagli standard creati nel 1940: hanno crisi d’identità, sono emarginati, devono fare i conti con l’intolleranza e la paura dei cosiddetti “normali”, tendono ad autocommiserarsi, sono afflitti da un sostanziale tormento esistenziale. Si inizia a parlare di “supereroi con superproblemi” e del fatto che (dice Spiderman) “grandi poteri implicano grandi responsabilità”; il supereroe può vivere momenti di autentico smarrimento, come nel caso di Spiderman, la cui fidanzata Gwen Stacy viene uccisa da Goblin, l’immancabile villain di turno.

La morte di Gwen, fidanzata di Spiderman
L’incredibile Hulk

Anche il supereroe, come l’uomo della strada, vive in modo drammatico gli snodi della storia del secondo dopoguerra: il muro di Berlino (1961), il pericolo nucleare, la crisi dei missili cubani (1962), l’omicidio Kennedy (1963), l’assassinio di Bob Kennedy e Martin Luther King (1968), lo scandalo Watergate negli anni ‘70 fanno perdere anche all’eroe i propri punti di riferimento e lo fanno cadere in una crisi esistenziale che si riverbera sulle vicende raccontate negli albi a fumetti.

La situazione di degrado morale e profonda conflittualità in cui sprofondano gli USA a cavallo dei ’70 vede la contrapposizione netta tra la parte reazionaria del paese da un lato e gli impulsi al rinnovamento dall’altro, impulsi che vengono soprattutto dall’universo giovanile, dalle università e dai movimenti beat. La guerra nel Vietnam viene contestata finalmente per quello che è veramente, un’impresa militare con fini di controllo imperialista nella zona del sud-est asiatico; articoli giornalistici denunciarono episodi in cui i soldati americani si erano macchiati di crimini atroci nei confronti della popolazione civile.

E allora? Come potevano i Supereroi, che avevano propagandato e incarnato i principi e i valori dell’America democratica e tollerante rapportarsi alla nuova realtà di corruzione e crisi? Come poteva Capitan America continuare ad essere tale se scopriva che i piani di destabilizzazione del paese non erano concepiti da un nemico esterno ma da una personalità pubblica e insospettabile che si nascondeva nei sotterranei del Campidoglio? Dallo stesso Presidente degli USA?

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Il crollo delle vendite e la débâcle qualitativa delle storie subita dal mercato fumettistico alla fine degli anni ’70 spinsero le case editrici – DC e Marvel – a escogitare soluzioni che potessero invertire l’andamento negativo del mercato. Si affidarono così i personaggi ad un restyling grafico affidandoli a disegnatori emergenti, e commissionando le storie a scrittori che le rivitalizzassero con idee innovative. Tra tutti emersero Frank Miller e Alan Moore, autori di una vera e propria decostruzione del supereroe.

Americano (1957), appassionato di cinema e letteratura hard-boiled, Frank Miller, passato alla DC, nel 1986 pubblica quello che è considerato il suo capolavoro per quanto riguarda testi, tecniche di sceneggiatura e respiro da grande romanzo: Il ritorno del Cavaliere Oscuro.

Il Batman di Frank Miller: un cavaliere oscuro in tempi oscuri

Batman/Wayne si è ritirato da dieci anni in seguito ad un decreto governativo che per motivi di ordine pubblico ha imposto a tutti i supereroi di dismettere i costumi. Gotham City è così ritornata teatro di ogni sorta di attività criminale: Miller offre lo spaventoso ritratto di un’America sull’orlo del collasso, guidata da un ridicolo Presidente con un trascorso di attore (Reagan) e condizionata dall’ossessiva presenza del medium televisivo, con i suoi notiziari e soprattutto i talkshow popolati da psicologi, sociologi e intrattenitori capaci di persuadere ma di bassissima levatura. I media riempiono i vuoti narrativi come un coro greco, con la loro onnipresenza, banalità, martellante logorrea fatta di voci dissonanti e contraddittorie. Tornato all’attività di giustiziere, Batman è considerato un fuorilegge e si deve scontrare con Superman, inviato dal Presidente in persona a fermarlo. Durante il combattimento, Batman accusa Superman di essere un venduto, di avere consegnato il vero potere ai politicanti invece di combattere il sistema sociale ormai marcio e corrotto. Superman, dal canto suo, incarna i valori ironicamente “sani” dell’America che egli protegge in segno di totale sottomissione e gratitudine al Paese che lo ha accolto e allevato; è la forza della natura messa sotto controllo governativo. I due si scontrano in un corpo a corpo reale ma simbolico allo stesso tempo.

Lo scontro tra Batman e Superman

Il racconto di Miller è tutto politicamente scorretto: vi viene raccontata l’ultima storia di un eroe dei fumetti, forse il più grande e longevo. E che la storia di Miller rappresenti la fine del supereroe tradizionale è attestato da indizi significativi: Batman è vecchio, cinico, appesantito dagli anni ma continua ad essere mosso dal sentimento di una vendetta insana, morbosa e psicotica, perché risultato di un trauma interiore insolubile (il lutto per l’assassinio dei genitori); è un personaggio cupo e misterioso, la cui dimensione morale non è mai chiara ma viene continuamente messa in discussione; il pipistrello che entra nella stanza del giovane Bruce Wayne ha un aspetto demoniaco, quasi venisse dall’inferno per prendersi l’anima del ragazzo; Batman spezza il collo a Joker e, da ultimo, sputa in faccia al cadavere del nemico di sempre: un gesto che fa cadere il mito del supereroe senza macchia e puro caricandolo di nuove e oscure valenze. In conclusione, Batman è, né più né meno, un alienato incapace di controllare la propria rabbia.

Il momento in cui Batman uccide Joker

(continua)

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