Io non ho dimenticato

di Elisabetta de Luca

Parliamo di tanti problemi irrisolti, questioni aperte, cuori dimenticati e sospinti nel vortice della noncuranza. Già, forse è proprio questo il più grande e insormontabile ostacolo, la noncuranza. Viviamo in una città totalmente incapace di far assumere al proprio sistema sanitario una condizione quantomeno di apparente decenza, siamo oramai sprofondati nella più spregevole vergogna. E credo davvero, senza scendere nei particolari, di poter parlare con assoluta cognizione di causa. Parliamo di degenti dimenticati, ignorati e nella maggior parte dei casi completamente abbandonati al proprio destino. Parliamo spesso e volentieri di un personale medico, infermieristico e sanitario non dico inetto, ma semplicemente e paurosamente apatico, altezzoso e arrogante. Parliamo di malati abbandonati ad una lenta e atroce agonia, che solo in rari casi possono godere di una sistemazione in una corsia e magari anche di un vero letto. Per tutti gli altri c’è il corridoio, che solo per fare un banalissimo, ma sconvolgente esempio presso l’ospedale Antonio Cardarelli di Napoli, corrisponde a un vero a proprio “reparto nel reparto” con una sua cartella specifica e una sua perfetta disorganizzazione. “Non ci sono fondi” è tutto ciò che ci sentiamo rispondere dai dipendenti. Barelle addossate una sull’altra, spazio spesso nemmeno sufficiente a muoversi, degenti classificati come urgenze prima e abbandonati per sempre poi. La chiamano Osservazione Breve Intensiva. Simboleggia l’inizio di un incubo che non avrà mai fine. La chiamano anche mala sanità. C’è chi, invece, finge che tutto ciò non esista, chi continua a dire che tutto vada a gonfie vele! Ma noi non possiamo ignorare ancora a lungo la verità! Non possiamo continuare a immaginare che tutto vada bene. Il degrado ospedaliero di questi ultimi anni, che, in realtà, c’è sempre stato, ma che di recente si è acuito ulteriormente, si manifesta attraverso la bestia nera dell’intra-moenia; le infrastrutture che cadono letteralmente a pezzi, i corridoi straripanti; i posti letto perennemente insufficienti; i malati imploranti aiuto e mai nessuno che accorre; personale completamente inesistente e disinteressato, quasi disturbato dalle continue e assillanti richieste di chi non supererà magari nemmeno questa notte. E tutto questo unito all’avidità di chi preferisce lucrare piuttosto che curare. La speranza che si affievolisce nel cuore di chi lotta ogni giorno e che lascia lentamente il posto alla desolazione e alla rassegnazione più nera. I pianti, le angosce di chi sa già che non ce la farà, il provarle tutte e dare il tutto per tutto, contro ogni referto, contro ogni degenerazione della fase terminale. Non ci sono parole sufficienti per descrivere tutto questo. Ma non mi limiterò a condannarlo con tutte le mie forze. C’è molto di più… e non credo possano esistere parole atte a descrivere simili degenerazioni. La degenerazione stessa della sacra arte della Medicina. Il fatto che la professione più nobile mai praticata in assoluto dal genere umano si sia tramutata in mera brama di denaro e potere. La consapevolezza che il guarire corpi, il curare anime e il salvare vite abbiano lasciato il posto alla sola avidità, al solo interesse appare come una pena più che sensibile per i nostri cuori. Saremo allora capaci, noi tutti intendo, in quanto giovani adulti del futuro, in quanto uomini e donne del domani, in quanto spettatori muti e inermi di scene quotidiane così crude, così esiziali, così semplicemente paurose, di cambiare le cose? Saremo allora in grado di prendere in mano il destino degli ospedali di questa città e donare finalmente al sistema sanitario campano un nuovo volto? E accetteremo mai allora di mettere in gioco il tutto per tutto per ristabilire il volto dilaniato di questa città? Città uccisa dallo sconforto, dal dolore, dalla più totale instabilità organizzativa. A voi lettori l’ardua sentenza.

A chi è attualmente consumato e corroso dal male del nostro secolo. A chi è stato privato di ogni speranza, ma continua a credere fino in fondo e fino all’ultimo respiro. A chi lotta ogni giorno e a chi non si è mai arreso, a chi sopporta con coraggio e con invidiabile forza il dolore e la sofferenza. A chi non ce l’ha fatta, a chi non ce la farà. A chi è stato dimenticato e a chi è stato salvato. A chi contempla il mondo attraverso una finestra. A chi ha dimenticato la luce del sole. A tutti loro, piccoli, grandi, vecchi eroi il nostro più grande e sentito pensiero. Contro tutto. E contro il male.

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