Editoriale di marzo: Un inaspettato (non)rientro

di Michaela Iannarone

Una settimana di intenso Brainstorming. Una settimana di ripresa indesiderata. Una settimana di vacanza isterica. Ed ecco che anche febbraio è passato, in un soffio.

Marzo è iniziato con il rientro più noioso di tutti, da un ponte prospettatosi più lungo del previsto, tra allerte meteo e virus impazziti che decidono di assaltare i cinesi e poi i lombardi, i quali, da bravi Lanzichenecchi, discendono tutta Italia (Ah, Manzoni! Si è letto di lui più in questi giorni che in una vita intera).

Tutto pareva esser tornato alla normalità e invece, eccoci di nuovo qui, sospesi tra questi giorni vuoti, abbandonati dalle nostre abitudini.

Quando il 21 febbraio, ogni TV riportava la notizia del “Primo contagiato di puro sangue italiano”, mai ci si sarebbe aspettati che il COVID-19 si sarebbe realmente diffuso in tutto lo Stivale, dai corpi alle menti.

Spaccati in due, senza alcuna voglia di fare, e senza alcuna prospettiva, in questi giorni ognuno di noi si è sentito in dovere di dire la propria, di riempire le bacheche con fascette colorate e grandi slogan. Ognuno di noi, chiamato in causa dalla fazione nemica, si è sentito in dovere di fare l’unica cosa di cui la comunità poteva fare a meno: schierarsi.

Allora, il carabiniere inabile alla mira o il bravo ragazzo con l’hobby della rapina? L’allarmista fatalista che saccheggia il reparto “pasticcini” o il menefreghista cronico che con la febbre cinese va al Pronto Soccorso? La Cassandra che intravede lo zampino degli USA ed una guerra alle porte? O il fervente patriota che invoca sangue e gente in mare?

Come se, pur senza capi d’accusa, potessero esistere delle parti.

Ognuno di noi, di questi tempi, ha sentito il richiamo felino dello Stato e della morale. E proprio per seguire i ragionamenti contorni della morale italica, e per meglio interpretarli, sono nati quei circoli stellari, in cui non è il dibattito a far da padrone, ma il torto o la ragione.

Abbiamo il dovere di alimentar la discussione e sfondare i salvagenti, perché la barchetella di Calamandrei, che sullo specchio della poppa ha inciso il nome “Politica”, sta colando a picco. Tanto meglio allora, se lo fa in fretta, con tanta acqua e gente a bordo.

Esisto io, ed io soltanto. I miei bisogni, le mie passioni, la mia vita. Fa ridere, ma non dovrebbe.

Ecco che un virus, un minuscolo aggregato di acido nucleico, in bilico tra vita e morte, porta a galla ciò che siamo. L’alienazione di cui tanto si parla da più d’un secolo oramai, prende forma davanti ai nostri occhi. Ci aliena la società, ci alieniamo nei social, ci alieniamo nelle nostre idee e siamo sempre più distanti dall’altro. Anche in questi giorni di catastrofe annunciata, esistiamo noi e noi stessi. Il bello poi, arriva quando s’impone il metro di distanza tra il barista e lo shottino. Tragedia. La voglia di rivalsa e insofferenza si fa largo tra la folla. Si esce, si va a fare quella sciata che si è rimandata per un anno, si partecipa ad una maratona, si torna dai parenti serpenti, si sta vicini il più possibile. Piano piano si ricorda che esiste un altro, fuori di sé. Eppure siamo distanti, ancora di più. Perché esisto io, ed io soltanto, le mie paure sono più tetre delle tue, ed i miei desideri più splendenti. Siamo strafottenti ed incuranti. Ci sono tecnologie che rimodellano le misure di tempo e spazio, ma non è mai abbastanza.

Non si va avanti se ogni giorno non viene postata un’altra foto di quel quadro di “quello che…”  ed un post in più su “quel fatto famoso che…”. E adesso che le nostre vite non hanno nulla di speciale, sensazionale ed originale, come si fa? Come si fa se, a parte se stessi, non c’è più nulla da mostrare? Perché è più semplice lasciarsi guardare, che osservarsi. E` più semplice e soddisfacente, sentirsi unici. E` vero, ma non è vero affatto.

Ognuno di noi è diverso, no? Ce lo ripetono a scuola, da piccolini: “Amiamo la diversità”, “Il mondo è bello perché è vario”, “Siamo tutti uguali”, “Nessuno è diverso”. Ebbene, dopo anni e anni, direi che possiamo anche smetterla di arrovellarci sull’accezione più veritiera e profonda di “diverso” e “uguale” perché alla fine siamo uguali nella diversità, sinonimi senza significato. Siamo alienati da noi stessi, in continua ricerca di scuse e approvazione, senza quel briciolo di ambizione che percuote e scuote. Diventa dolce e naturale, come un pensiero sonnacchioso, scivolare nell’ομόλογος (che sta per convenzione, omologazione).

Nelle nostre vite, tutti coloro che incontriamo sono unici, ed è proprio questa la grande convenzione.

I capelli, le facce, l’aspetto, le parole, gli hobby. I posti che frequentiamo, le persone a cui teniamo, il modo in cui salutiamo e andiamo via. Ciò ci definisce, ma non è tutto e lo sappiamo.

L’arroganza di essere unici scandisce le nostre vite, ci crogioliamo nella consapevolezza di essere unici.

“E’ vero, l’ho fatto. Ho fatto, pensato, detto qualcosa che non avrei dovuto. Ma in realtà, nessuno mi conosce davvero.” Dire “Io sono meglio di così”, e ancor peggio crederlo, serve a noi, e a noi soltanto, quando non siamo in grado di dimostrare agli altri quanto valiamo. Senza capire che forse, noi non valiamo affatto. Senza capire che ciò che diciamo, facciamo, vogliamo, amiamo, rispecchia per davvero ciò che siamo. Senza capire che nel profondo del nostro animo non esiste un grande uomo. Si potrebbe pensare che colto dalla timidezza, egli si sia nascosto, scordando il coraggio e la paura, ma

“L’uomo non è altro che la serie delle sue azioni”

diceva Hegel.

-Ma sei sicuro? No, perché ”Io sono meglio di così”-

E non esiste inganno, non esiste stratagemma, lo pensiamo davvero, quando le incertezze che ci siamo costruiti faticano a crollare.

Noi abbiamo bisogno di sentirci unici. E` una di quelle cose che senti fremere nel petto e nelle ossa.

Allora “Io potrei esser meglio di così” è già un grande sforzo, che può sembrar piccino ed infantile, ma cambia un poco il gioco e ci lascia qualcosa a cui aspirare.

Rinchiusi nelle nostre case, senza qualcosa di nuovo da raccontare, sarebbe utile riscrivere una vecchia storia. Cercare quello slancio, riprendere in mano ago e filo, ricamare nuove note, colorare le canzoni, dipingere una foto o fotografare un bel dipinto.

Non, scavare in se stessi, andare alla ricerca dell’anima perduta o perder tempo in favolette, no.

Ma imparare a leggere la superficie per capire se dietro c’è qualcosa.

In questi giorni “sordi e grigi”, bisogna uscire fuori da se stessi e ritrovare l’altro.

Pausa Caffè Pansini saprà aprire una finestra, se vorrete compagnia. Troppo tempo, notizie e sensazioni ci hanno rubato in questi giorni. Il Corona-virus potrà anche essere ovunque, su tutti i giornali e televisori, ma sul nostro no di certo. Almeno per adesso…

 

Per chi se li fosse perso, vi alleghiamo le vignette e i meme che più spopolano sul web

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