QUANTO CONTA DAVVERO LA SALUTE MENTALE NEL TENNIS, L’ESEMPIO DI NAOMI OSAKA

di Francesca Tierno

È l’8 settembre 2018, e una nuova campionessa si afferma a Flushing Meadows, New York. Si tratta di Naomi Osaka, che nella finale dell’US Open quell’anno sconfigge l’amatissima Serena Williams. Dovrebbe essere un momento felice per la tennista giapponese, ma non lo è affatto. Anzi, rappresenta forse l’inizio di un lento e tortuoso declino.

Qualcosa era andato storto per il pubblico quel giorno, non aveva vinto la loro prediletta, e perciò sfoga tutto il proprio malcontento sulla allora ventenne, neo-vincitrice dello Slam. Durante la premiazione, Osaka è costretta a scusarsi, e le posizioni si ribaltano: Serena Williams è la vincitrice, Naomi la perdente. Quanto impatto ha avuto davvero quest’incidente sulla tennista classe ’97?

Ad oggi, Naomi ha vinto 4 Slam, di cui uno quest’anno agli Australian Open, e la stagione 2021 si prospettava brillante. Arriva però un altro intoppo: il fiasco del Roland Garros, a maggio. La giocatrice aveva espresso il desiderio di non tenere conferenze stampa, e l’amministrazione del torneo gliel’aveva vietato. Nonostante ciò, la 23enne decide di non ascoltare questo divieto, e sceglie di proteggere la sua salute mentale, rivelando come motivo la depressione con cui lotta sin da quel fatidico 2018 e l’ansia sociale. Dopo essere stata multata pesantemente, Osaka sceglie di lasciare il torneo, annunciando anche il suo ritiro dalla prova Slam seguente, Wimbledon.

La giocatrice ritorna per la prima volta dopo 2 mesi di completo stop alle Olimpiadi estive di Tokyo: i primi due round filano lisci, e la Naomi di sempre sembra essere tornata. Al terzo round arriva un risultato inaspettato: viene battuta da Markéta Vondroušová (numero 43 nel ranking) in soli 2 set. Sembrava un minuscolo ostacolo, in fondo era solo necessario rientrare nel ritmo, e infatti tutti erano sicuri che da lì sarebbe stato un percorso in discesa. 

Al WTA1000 di Cincinnati, niente cambia. Osaka viene nuovamente sconfitta al terzo turno da Jil Teichmann (che alla fine è arrivata in finale), ma stavolta qualcosa è diverso: in conferenza, scoppia in lacrime dopo una domanda che tocca un punto sensibile: ‘Come è possibile che lei usufruisca dei benefici di essere un’atleta di alto livello e non voglia presenziare alle conferenze stampa?’. Naomi scoppia in lacrime e la conferenza viene fermata per qualche minuto. 

Capiamo che nella tennista si è rotto qualcosa all’ultimo appuntamento Slam dell’anno, l’US Open, dove era campionessa in carica. Ancora una volta, la giapponese perde al terzo turno contro Leylah Fernandez (anche lei arriva in finale). Alla conferenza post-partita, la confessione: ‘In questi ultimi tempi, se vinco non sono tanto felice quanto sollevata, se perdo invece sono tristissima. Non credo sia normale. Non vorrei piangere, ma a questo punto devo capire cosa voglio fare, quindi non sono sicura quando giocherò il mio prossimo incontro’.

Cosa ci insegna questa storia? Chi sono i tennisti, e specialmente le tenniste donne di colore? Esseri umani, persone innanzitutto. Non ci si aspetta che nel 2021 una giocatrice o un giocatore non possa avere dei semplici giorni di riposo da conferenze stampa e altri impegni. E anche se lei o lui li riceve, ha il dovere di spiegare nei minimi dettagli le motivazioni. Sembra quasi che le atlete e gli atleti intrattengano giornalisti e persone che consumano e ne vorrebbero ancora. 

Invece è necessario che proprio questo aspetto cambi, e che lo stereotipo che nello sport mente e corpo sono due entità separate venga eliminato una volta e per tutte. Essere una tennista o un tennista di livello altissimo è sì, un obiettivo di vita probabilmente e anche un privilegio per certi aspetti, ma ciò non vuol dire che queste persone debbano rimanere inascoltate quando provano a dare priorità alla propria salute, che sia fisica o mentale. 

Per rispondere alla domanda iniziale, ‘Quanto impatto ha avuto davvero quest’incidente sulla tennista classe ’97?’, si potrebbe rispondere semplicemente con una parola: enorme. È chiaro ormai che depressione e ansia non sono facilmente curabili come una semplice febbre o raffreddore, ma sono dei cumuli che si insediano nel punto più profondo degli animi delle persone, e se non vengono trattate in maniera corretta, iniziano a prendere il controllo della vita di un individuo. 

È ora che le associazioni sportive inizino davvero dei percorsi appropriati per giocatrici e giocatori, a fine di tutelare la loro salute mentale, che è alla base di una buona e fiorente carriera.

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