Arrendersi
di Sofia de Micco (VH)
Gli poso una mano sugli occhi, un tempo dolci e vispi, le
pupille così grandi da inglobare tutto quello che gli era
intorno, me compreso; ora invece spenti, fissi su un solo
punto, e faccio fatica a non distogliere lo sguardo.
Quando alzo la mano, i suoi occhi sono chiusi. È più
facile guardarlo così: posso fare finta che stia solo
dormendo, che in realtà non è appena morto a fianco a
me.
Era mio fratello – no, è mio fratello. Mi rifiuto di pensare
che lui non sia più mio fratello, mentre io sono costretto
a continuare ad esserlo anche senza di lui.
Non aveva scelto lui di fare questa guerra. Non aveva
scelto lui di andare in battaglia. Non l’ho fatto neanche io.
Mi fa rabbia. Mi fa stringere i denti. Mi fa venire voglia di
strapparmi la pelle, di soffrire, di urlare così tanto da
dimenticare quello che sto provando. E non posso farlo,
qui è vietato dimostrare segni di vita che non siano gli
occhi dritti dentro l’obiettivo del cecchino. Voglio restare
a fianco a lui, tanto radicato al suolo che queste lacrime
che trattengo, queste mani, questi piedi affondano.
Per cui, mi limito solo a levargli il casco, delicatamente, e
ad accarezzargli i capelli. A stringergli la mano un’ultima
volta. A sorridere d’impulso; a dire: “in un’altra vita.”
Ma non lo so – arrivato ormai a questo punto, chissà se
vale la pena di aspettarla, l’altra vita.