I volti e L’identità secondo Kundera

di Ginevra Fracasso, IIIA

“Di questo ultimo libro, intiepidito dalla luce rosea della vecchiaia, posso dire soltanto una parola: è perfetto. Non c’è personaggio, episodio, immagine, parola, spazio bianco, virgola: non c’è luogo dell’incantevole intreccio che sia segnato da una minima ombra”.

Sono queste le parole del critico letterario Pietro Citati sul romanzo L’identità (1997), una delle ultime opere di Milan Kundera, scrittore francese di origine cecoslovacca morto recentemente (11 luglio 2023).

Il lettore è, fin dalla prima pagina, catturato nella quotidianità di Jean-Marc e Chantal, coppia unitasi poco dopo il loro primo incontro, segnato indelebilmente da un colpo di fulmine, una voglia immediata di amare l’altro.

La piattezza dell’esistenza che caratterizza l’apertura del libro, tuttavia, è destinata a sfumare attraverso la semplicità dello stile dell’autore, la quale conduce, in maniera celata ma ostinata, a far vacillare tutte le certezze della vita dei personaggi e del lettore stesso, immerso nella profondità insita nelle parole.

Per una serie di malintesi, Jean-Marc e Chantal vedranno sgretolarsi quel legame, dapprima apparentemente indissolubile, che li univa, dunque la percezione di conoscere davvero i volti dell’altro, e la certezza che nessun mutamento, nessuna fiamma interna, avrebbe potuto condurli alla rovina.

“Verrà un giorno in cui avrò un volto solo. Il peggiore dei due, ovviamente: quello serio, quello conformista. Mi amerai anche così?”.

Con L’identità, l’impalcatura dell’anima, quella che sorregge l’esistenza stessa dell’uomo, vacilla gradualmente, accompagnata da una sintassi per lo più semplice, con una prevalenza della paratassi sull’ipotassi, discorsi diretti e narratore esterno.

Tuttavia, la meraviglia dello stile di Kundera risiede anche nella capacità di quest’ultimo d’insinuare, con una semplicità avvolgente e lodevole, una complessità di fondo che apre uno squarcio, attraverso la narrazione, su considerazioni a carattere filosofico, le quali, tuttavia, ne L’identità, sembrano perdere l’intensità della riflessione spirituale che, invece, caratterizza l’opera più importante di Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984).

“Nessuno scrittore, oggi, ha l’eleganza di Kundera: la sua naturalezza; il suo tocco delicato e sovrano”

È con queste parole cariche di ammirazione che conclude Citati: la naturalezza di Kundera lo rende, senza dubbio, uno degli autori contemporanei più di rilievo nel panorama letterario mondiale, e, L’identità, seppur in maniera più velata, ne rimane comunque una prova.

“e se gli capitasse di perdere quell’unico essere che lo lega al resto dell’umanità? Non pensava alla morte di Chantal, ma a qualcosa di più sottile, di inafferrabile, la cui prospettiva lo tormentava già da un po’: pensava che un giorno avrebbe potuto non riconoscerla più; che un giorno si sarebbe accorto che Chantal non era la Chantal con cui aveva vissuto[…].

-Che cos’hai? Sei di nuovo triste. Da qualche giorno ho notato che sei triste. Che cosa c’è?- […] -Ho immaginato che tu eri un’altra-”.

                           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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