Il Natale? Tante feste in una
del prof. Eduardo Simeone
Il Natale – sentiamo dire spesso in una sorta di refrain – altro non è che un adattamento cristiano del Dies natalis Solis invicti, festa in onore del Dio Sole, invitto perché, dopo la morte, sempre risorge. Ogni anno, il mondo romano celebrava questa divinità con solenni cerimonie che iniziavano al solstizio d’inverno e culminavano il 25 dicembre. I cristiani, dopo aver ottenuto libertà di culto da Costantino con l’editto di Milano (313 d.C.), desiderando fissare il genetliaco di Gesù, avrebbero optato, a fronte della scarsezza di notizie nei Vangeli, per quella data. La questione, come cercherò di mostrare, pur senza pretendere di essere esaustivo, è più complessa rispetto all’assunto iniziale, ma spero che una similitudine possa servire a impostarla correttamente. Nella fattispecie, si tratta di un caso di riuso di materiale antico, di stratificazione e di “rimescolamento”, come è avvenuto architettonicamente, tanto per fare un esempio, a Napoli, nella Basilica di San Paolo Maggiore che ha inglobato un tempio dei Dioscuri, conservandone due colonne di ordine corinzio.
Nel nostro caso la nuova festività non solo ha inglobato l’antico culto pagano, ma ha recepito tutta una serie di tradizioni e cerimonie religiose che avevano luogo a Dicembre in prossimità del solstizio. Il poeta latino Orazio ci ricorda (Sat. II, 7) la libertà di cui godevano gli schiavi durante i Saturnalia – nella vulgata una sorta di carnevale pagano – che avrebbero ispirato l’opera omonima di Macrobio (IV sec. d.C.). Tuttavia, anche in questo caso, c’è di più. La festa di Saturno, tutt’altro che una mera carnevalata, ereditava e incorporava, a sua volta, riti antichissimi, sagre campestri, simposi e banchetti propiziatori di carattere agricolo o patriarcale collegati al ciclo della seminagione (sementivae feriae). Erano occasioni per festeggiare, originariamente in famiglia nelle piccole fattorie, intorno al nucleo padronale nei grandi latifondi e negli agglomerati urbani, tutti insieme a tavola, padroni e servitori, il ritorno del sole sulle seminagioni e il dio italico Saturno ad esse preposto. Solo in un secondo momento, approssimativamente in età Augustea, i Saturnalia sarebbero assurti a feste pubbliche. Le manifestazioni, documentate a partire da quel periodo, consistevano in un sacrificio nel tempio di Saturno nel foro, in un lectisternium organizzato dai senatori davanti al tempio, in un convivium publicum e in una festa popolare caratterizzata da invocazioni rituali che duravano tutta la giornata. Macrobio invece, nei Saturnalia, insiste su particolari che sono però tutti di uso privato: la fraternizzazione a mensa (mensa libera) dei servi con i padroni; l’usanza dell’invio di pupattole augurali (sigillaria), di ceri (cerei) e maschere votive (oscilla), la pratica del gioco d’azzardo.
Riassumiamo. In prossimità del solstizio avevano luogo feste e cerimonie di carattere agricolo inauguranti un ciclo stagionale e il 25 si celebrava la rinascita del Sole, il cui culto antichissimo, coniugandosi a quello più recente di Mitra, conobbe un momento di splendore e di reviviscenza nel III sec. d.C., il secolo del sincretismo religioso, l’età di Elagabalo, Filippo l’Arabo e Aureliano. Queste festività agricole decembrine, ricordiamolo,
erano legate a Saturno o addirittura erano nate nel segno di questo nume antichissimo che avrebbe rinnovato il suo regno felice. Iam redit et Virgo redeunt saturnia regna recita Virgilio nell’Ecloga IV, in cui si parla, non a caso, del rinnovamento e della palingenesi del mondo e della nascita di un puer che i commentatori cristiani del Tardo-antico (Filargirio, Scholia Bernensia) identificarono con Cristo. Si era avviato, insomma, un processo di riutilizzo più o meno consapevole di antichissime tradizioni (che si sovrappongono e si mescolano) di cui possiamo seguire solo alcune tracce, ben consapevoli che ormai il vino nuovo era stato versato in otri vecchi e una diversa sensibilità reinterpretava e rileggeva l’antico appropriandosene in qualche modo.
Così è nato il Natale; Saturnalia e Dies natalis ne sono i genitori, ma il figlio è tutt’altra cosa. Per capirlo – è tempo di concludere – basterà rileggere questi versi di Dante, in cui Stazio parla del suo debito verso Virgilio, il Virgilio dantesco beninteso, (Purg. XXII, vv. 67 ss.):
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
quando dicesti: ‘Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova’.
Per te poeta fui, per te cristiano