La sottile e paziente arte dell’interrogatorio – Criminal (GB, Francia, Spagna, Germania, 2019)

del prof. Lucio Celot

Anche se ognuna delle quattro stagioni è ambientata in una città diversa (Parigi, Londra, Madrid e Berlino), la location è sempre la stessa: uno stanzone con un grande tavolo al centro, quattro sedie e un finto specchio a parete (stilizzato in rosso nel logo della serie) che consente ai detective e ai poliziotti nella sala operativa adiacente di osservare quanto accade, ascoltare i dialoghi tra sospettati e inquirenti, decidere, infine, se il fermo si possa trasformare in un’accusa circostanziata e un arresto. Criminal sta tutto qui, nell’importanza delle parole, dei gesti, dei tic, del linguaggio del corpo, della postura che presunti omicidi, stupratori, avvelenatrici, avide imprenditrici o squallide imbroglione assumono nel corso dell’interrogatorio; Criminal è anche uno studio psicologico delle relazioni professionali, delle simpatie e antipatie personali, dell’invidia che può nascere di fronte ad un collega brillante o dell’avversione per un superiore che non comprende fino in fondo le strategie messe in atto durante le ore sfiancanti del faccia a faccia con il presunto colpevole; ma Criminal è, soprattutto, una scommessa vinta alla grande dai produttori George Kay e Jim Field Smith.

Sì, perché rispetto ai gusti del pubblico generalista, abituato agli “effettoni” speciali e alle megaproduzioni spettacolari, Criminal sceglie una strada completamente diversa, se non opposta: il minimalismo di una messa in scena teatrale, due stanze, un corridoio e un distributore automatico di bevande e snacks, un orologio digitale a muro che scandisce il tempo a disposizione di chi indaga prima che scadano i tempi della custodia preventiva. In questo meccanismo narrativo, privo di azione e che rasenta la staticità, che si ripete sempre uguale nelle diverse stagioni, diventano fondamentali le interpretazioni degli attori e la regia. I personaggi inchiodati alle loro sedie e sottoposti alle domande dei detective sono solo occhi, voce e un corpo quasi del tutto privo di spazio vitale in cui muoversi: i registi (diversi, come gli attori e gli sceneggiatori, in ognuna delle stagioni) utilizzano molto il primo piano alla ricerca di quelle minime crepe che s’insinuano nella maschera dell’indiziato, espressioni esteriori del rovello interiore che, a dispetto dei frequenti “no comment” pronunciati, quasi sempre sfocia in una confessione; ma non sfuggiranno allo spettatore attento anche le inquadrature “sghembe”, quelle oblique in contre-plongée che riprendono il movimento incontrollato di un piede, il particolare di due mani che si tormentano o che tremano mentre si accendono una sigaretta (non si potrebbe, ma a qualcuno viene concesso: e anche questa è una strategia dei detective). Essenziale anche la fotografia, che contribuisce a evidenziare la netta separazione tra i due ambienti, segnata dal falso specchio con la cornice rossa: luce fredda, asettica e priva di sfumature nella stanza dove avvengono i colloqui; calda e scura, tendente al rosso nella sala operativa, dove i poliziotti, faldoni e tablet alla mano, verificano le dichiarazioni dei sospetti per individuare contraddizioni e, come succede in qualche episodio, hanno delle intuizioni risolutive.

La scelta antologica, con episodi autoconclusivi ed esili strutture orizzontali (la relazione tra due detective, il poliziotto alcolista, la poliziotta incinta che vuole lavorare a tutti i costi, la detective che deve dimostrare le proprie capacità per ottenere la fiducia dei sottoposti) deve giocoforza puntare sulla possibilità della variazione dentro una gabbia che resta la stessa: e Criminal lo fa benissimo, presentando una galleria di personaggi che costituisce un’autentica comédie humaine del terzo millennio, dall’imprenditore che si è fatto dal nulla ma ha parecchi scheletri nell’armadio alla ultracinquantenne frustrata e bisognosa di avventure, dal gay costretto a lavorare in un ambiente omofobo all’autista di camion che si rende complice di traffico di esseri umani: Criminal ha il merito di squadernare davanti agli occhi dello spettatore le questioni sociali del nostro tempo, comprese ferite profonde e ancora aperte come la strage terroristica del Bataclan a Parigi nel novembre del 2015 o la difficile riunificazione delle due Germanie.

Straordinariamente umani e credibili, nessuno escluso, i personaggi dei detective delle squadre speciali delle quattro capitali impegnati negli interrogatori, ognuno con la propria personalità, strategia professionale, maggiore o minore capacità empatica; e il merito va, evidentemente, al lavoro di scrittura di Kay e Field Smith che hanno saputo sostituire con sapienza e credibilità allo scontro fisico e all’adrenalina delle crime stories un agone dialettico raffinato, avvincente e psicologicamente profondo fatto di eloquio, sguardi, occhiate in tralice, uso modulato delle voci, emozioni represse.

Come ben sanno gli affezionati lettori di questa rubrica, qui raramente si esprimono giudizi, sempre inevitabilmente soggettivi e di parte; ma, stavolta, con una menzione particolare agli episodi inglesi e francesi, va detto che le cinque stelle Criminal se le merita tutte.

 

Criminal (id.), GB, Francia, Spagna, Germania 2019

Stagioni 4 (ep.1-15)

Distribuzione: Netflix

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