Adolfo Pansini e la legalità dei tempi moderni

di Vittoria Bucci (1A)

Viviamo in un tempo di grandi contrasti, da una parte i giovani vengono spesso accusati di essere apatici, di non essere sufficientemente interessati alla difesa dei loro diritti fondamentali (casa, studio, lavoro…), dall’altra gli strumenti forniti per consentire il mantenimento dell’ordine pubblico, talvolta, lasciano spazio ad ampie riflessioni.

Da qualche anno lo spray al peperoncino è in dotazione alla Polizia (oltre a manganelli, lacrimogeni e pistole); numerose sono state le rassicurazioni: non nuoce alla salute, dunque tutto sotto controllo. È solo un banale esempio tra i molti ben più gravi che potremmo annoverare: invano protestano le molte madri di giovani manifestanti e detenuti la cui sicurezza non è stata tutelata; rispetto a tutto questo noi giovani studenti ci interroghiamo sull’opportunità di arrivare a cambiare la Costituzione scritta col sangue dei partigiani, per riuscire a contingentare gli strumenti di chi è addetto in realtà alla nostra sicurezza.

Ricorrendo il 30 Settembre l’anniversario della morte di un giovane antifascista, Adolfo Pansini, il ricordo va a lui. Adolfo Pansini, studente del liceo Sannazaro, nel 1940, non ancora diciottenne, «assieme ad alcuni coetanei, aveva creato una associazione a sfondo antifascista». Si trattava di un gruppo clandestino di studenti, per i quali l’unione spirituale cui il fascismo diceva di avere educato il Paese era una menzogna; la maggioranza degli italiani l’accettava per paura ma professava in pubblico una fede che in realtà detestava. Una scelta che ai giovani parve vile e li spinse alla rivolta.

Adolfo Pansini riteneva che una legalità lontana dalla giustizia sociale fosse uno strumento di controllo in mano al potere, dunque, entrato in contatto con Ferdinando Pagano (un ragazzo espulso da tutte le scuole d’Italia per aver rifiutato di cantare l’inno fascista) e coi giovani del circolo «Karl Marx» di Torre Annunziata, ottenne che i due gruppi clandestini lavorassero uniti, ignorando le distanze ideologiche. Ne nacque un’attività che non fu solo propaganda ma pose le basi della nostra Repubblica.

Arrestato in seguito alla segnalazione di una cameriera, insospettita da una pistola scoperta in un cassetto, Pansini, «pericoloso per l’ordine pubblico», ma non ancora diciottenne, se la cavò con un anno di carcere espiato in un istituto per minori. Liberato, si iscrisse ad Architettura, ma tornò all’attività clandestina e i conti col fascismo li chiuse tragicamente il 30 settembre del 1943, quando morì, armi in pugno, combattendo nelle Quattro Giornate di Napoli.

In questo modo Adolfo Pansini portò avanti la battaglia cominciata da suo padre, Edoardo Pansini, pittore e scrittore, che già nel 1921 fondò una rivista mirata a difendere l’arte e soprattutto i diritti degli artisti: questa battaglia culturale diventò antifascismo quando il regime mise in discussione la libertà di espressione, che è libertà di pensiero. Egli, che sopravvisse al figlio, rappresentò idealmente quella parte di città che non accetta di essere «liberata»: decise infatti di non sciogliere il suo gruppo, provò a stanare i gerarchi, sfondando le porte delle loro case, sequestrando il cibo che vi nascondevano e distribuendolo al popolo stremato. Pansini fu un intralcio per gli Americani, la cui intenzione non era di colpire i fascisti e lasciarsi alle spalle gente libera di cui temere. Furono infatti proprio loro a chiudere una sua rivista già censurata dal regime.

Edoardo Pansini lottò col Governo per far erigere un monumento dedicato ai caduti, in seguito alla morte del figlio: tuttavia non ottenne risultati malgrado le promesse governative sostenute fino al 1947; solo molti anni dopo, nel 1969 venne eretto un monumento, ma dedicato unicamente agli scugnizzi. Adolfo Pansini non ebbe medaglie: probabilmente si volle ignorare il valore politico della sommossa.

Dopo molto tempo da questo accaduto, i resoconti fatti e il tempo in cui viviamo ci pongono domande complesse.

Il giovane Pansini fu un delinquente? La sua figura è per i giovani un modello positivo?

È vero che l’antifascista di ieri troverebbe questori pronti a denunciarlo, una «legalità» che lo condannerebbe, sarebbe definito «violento», ma vale la pena ricordare che Pansini fu «bandito» anche per i nazifascisti e questo dovrebbe farci riflettere.

Mi piace immaginare che Adolfo Pansini oggi sarebbe un ragazzo libero e ardimentoso, un eroe che senza dubbio si rivolterebbe contro l’idea che i nostri capi di governo si professino sul palcoscenico internazionale “orgogliosi amici di Israele”, pronti a prendere una posizione chiara e determinante in uno scenario tanto cruento e complesso, bravi a condannare fermamente gli attacchi terroristici contro il popolo di Netanyahu senza però dire una parola sull’occupazione permanente che è la vera molla della violenza da decenni.

Resta da chiederci cosa ci rende oggi dei cittadini coerenti e consapevoli? Restare immobili davanti alla devastante violenza che viene giustificata dall’intento di voler “solo” disinnescare determinati movimenti terroristici? Violenza che in realtà provoca ogni giorno centinaia di vittime tra i civili costringendo interi popoli a vive nell’oppressione.

Adolfo Pansini tutto questo non lo accetterebbe e avrebbe certamente la grinta per dimostrare che un gruppo di studenti può avere più coraggio, integrità e passione per la giustizia del panorama giornalistico e politico del mondo occidentale, anche correndo il rischio di essere qualificato come un “bandito contemporaneo”.

 

 

 

 

 

 

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