Frida Kahlo, oltre il mito
di Alessandro Scarano IIIF
“Aveva una dignità e una sicurezza di sé del tutto inusuali e negli occhi le brillava uno strano fuoco”: così Diego Rivera, un pittore e muralista messicano molto famoso, definì Frida Kahlo nel 1923, quella stessa Frida Kahlo che nel 1929 sposò e amò tutta la vita.
Ma riavvolgiamo il rocchetto.
Frida nasce nel 1907 a Città del Messico, anche se dichiarava di essere nata nel 1910, con la rivoluzione, con il nuovo Messico, e nell’arco della sua purtroppo breve esistenza diventerà l’artista più eminentemente nota di tutta l’arte contemporanea, più per la sua tragica esperienza di vita che per la qualità, oggi fortemente rivalutata, delle sue opere. A 6 anni si ammala di poliomielite: gamba e piede destro rimangono deformi, tanto da essere etichettata come Frida pata de palo, Frida gamba di legno. Ma la vera tragedia si consuma nel 1925. Di ritorno da scuola, insieme al suo ragazzo Alejandro Gomez, rimane vittima di un incidente stradale. Ne esce distrutta letteralmente: fratture multiple a gran parte della colonna vertebrale, al bacino e una ferita profonda al basso addome.
Nelle sue parole: “Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange, non versai alcuna lacrima”.
Le viene prescritto di portare per un anno circa un busto di gesso e di stare a completo riposo nel letto. Aveva solo 18 anni. Fortunatamente, vicino al giaciglio, il padre disponeva di colori ad olio, di alcuni pennelli e di una tavolozza e Frida cominciò dunque a dipingere. La madre, poi, trasformò il suo letto in un letto a baldacchino e ci montò sopra uno specchio di modo che Frida, immobilizzata, si potesse vedere. Nascono così quei suoi celebri autoritratti, con gli occhi sovrastati da sopracciglia scure e marcate che si uniscono alla radice del naso come ali di uccello.
“Dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio. I miei quadri sono dipinti bene, non con leggerezza bensì con pazienza. La mia pittura porta in sè il messaggio del dolore”, scriverà.
Si dedicò anche all’attività politica, appoggiando le istanze più progressiste: ospitò nel ‘37 nella sua Casa Azul l’esiliato russo Trotskij; insegnò all’Esmeralda, la nuova scuola messicana di pedagogia popolare e liberale. Trascorse una vita all’insegna della costruzione di un’arte indipendente, lontana dall’accademismo e vicina, invece, alle masse, ai suoi atavici idoli precolombiani. Si raffigura, infatti, con flora e fauna tipiche dell’America centrale: cactus, scimmie e pappagalli. Una vita spesa nel folle amore di Diego, un amore passionale e insieme possessivo, effimero ma indissolubile. Purtroppo, infatti, Frida non riesce a portare avanti nessuna gravidanza e questa sua maternità negata sarà fonte di grande turbamento per le, giacché anche Diego le si nega, riversandosi nelle braccia di altre donne, tra cui la stessa sorella di Frida, Cristina. Dipinge convulsamente i suoi dolori, rappresentandosi di volta in volta come una cerva colpita da frecce, come una donna sostenuta da uno scheletro metallico, con un collare di spine o con una bambola inespressiva. A partire dal 1950 la sua vita sfiorisce del tutto. Lascia il lavoro per sottoporsi ad invasive operazioni alla colonna vertebrale, costretta ad ingerire quotidianamente una copiosa dose di morfina. Qualche anno dopo i medici le amputeranno la gamba destra. Nel 1954 a quarantasette anni morirà nella sua dimora, oggi museo.
Queste, dunque, le tappe della sua vita, ma anche quelle di una straordinaria mostra organizzata al Mudec (Museo delle culture) di Milano. Pensata e realizzata dallo storico dell’arte Diego Sileo, l’evento “Frida Kahlo, oltre il mito” presenta 200 opere tra dipinti, disegni e fotografie per la rima volta in Italia provenienti dal museo di Città del Messico. Frutto di ricerche e di sei anni di studio, l’esposizione nasce dall’esigenza di leggere in chiave nuova l’opera della più acclamata pittrice messicana. Abbandonando una visione troppo semplicistica e riduzionistica del suo tatto pittorico, si vuole dimostrare che per un’ analisi seria e approfondita della sua poetica è necessario spingersi al di là di una biografia quasi mitica, appunto; si vuole sottolineare, piuttosto, la sua ricerca costante dell’io, l’affermazione della sua “messicanità” e la sua resilienza al dolore.
Avete tempo fino al 3 giugno, affrettatevi!