Pier Paolo Pasolini: la forza eretica della conoscenza
della Prof.ssa Daniela Cutino

Pier Paolo Pasolini
La forza eretica della conoscenza
Intorno ai quarant’anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella «Selva» della realtà del 1963, anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a quell’esclusione dalla vita degli altri che è la ripetizione della propria, c’era un senso di oscurità. (Divina Mimesis, Einaudi)
Così Pier Paolo Pasolini inizia la sua Divina mimesis alla ricerca illusoria della salvezza, sulle orme di Dante. All’Empireo, però, lui non approderà mai, dannato e condannato sulla croce di un’eterna espiazione come vittima sacrificale. La notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, Pasolini muore barbaramente assassinato all’Idroscalo di Ostia. A cinquant’anni di distanza il suo omicidio è ancora avvolto nel mistero. Nonostante una condanna, le circostanze di questa brutale uccisione sono ancora nebulose, con forti indizi che puntano a una matrice più complessa e probabilmente politica, legata proprio alle indagini che l’intellettuale compie sul potere.

Ma non voglio parlare della sua morte perché “chi vuole s’infinita” – scrive Montale. E Pasolini quell’infinito lo ha conquistato. Non a caso l’eredità di questa figura risuona ancora nel panorama culturale italiano con una potenza disarmante. Intellettuale scomodo, ha fatto della sua vita un atto continuo di opposizione. Poeta, scrittore, regista, giornalista, egli rappresenta un vero e proprio profeta eretico, la cui vicenda umana e artistica è la più autentica lezione sulla necessità di una contestazione radicata nella cultura e nella dialettica. Per tutta la vita è stato un profondo oppositore del sistema. Eppure la sua non era una contestazione superficiale o ideologica in senso stretto; era piuttosto una critica che affondava le radici in un’analisi antropologica della società.
Egli è stato un critico feroce del potere borghese e democristiano: ne smaschera l’ipocrisia e la violenza nascosta. La sua critica corrosiva ha investito anche il PCI (Partito Comunista Italiano), di cui è stato a lungo parte: ne denuncia la progressiva integrazione nel sistema e la perdita della vera spinta rivoluzionaria e popolare. È stato, inoltre, un accanito contestatore del “nuovo Potere” emergente, quello della società dei consumi e dell’omologazione. Pasolini vede in anticipo che il vero pericolo non è più costituito dal fascismo storico, ma da un nuovo, sottile fascismo consumistico. Più subdolo, più pervasivo, più totalitario del vecchio, capace di distruggere le culture locali, le differenze e la sacralità della vita attraverso la mercificazione e l’annullamento delle identità. Senza infingimenti, denuncia la “catastrofe” che trasforma gli esseri umani in macchine acefale quali ingranaggi di un’invisibile dittatura, priva di centro, ma diffusa capillarmente, senza parlare dal balcone di una piazza. Si tratta ai suoi occhi di una vera e propria “tragedia”. Nelle Lettere luterane parla di “cataclisma antropologico”,“genocidio culturale”, “omologazione distruttrice”. Sotto i colpi del “Nuovo fascismo” viene meno la rappresentazione sacra del mondo, che diventa una mera “terra di conquista”, un mercato, come il tempio di Gerusalemme contro il quale si scaglia il Gesù pasoliniano ne Il vangelo secondo Matteo.

Trentatré sarà il numero dei processi a suo carico. Tra le accuse ci sono oscenità, corruzione di minore, vilipendio della religione di stato, ricettazione, istigazione alla disobbedienza della disciplina militare, e persino una tentata rapina. Alle offese egli risponde in modo sempre più combattivo, dolente, apocalittico servendosi dei suoi mezzi di attacco più potenti: poesie, romanzi, film, editoriali. Il suo genio risiede nell’aver usato ogni forma espressiva – dalla poesia al cinema (come non citare Salò o le 120 giornate di Sodoma), dagli scritti corsari alla narrativa – come un’arma di conoscenza impietosa. Attraverso le opere Pasolini non cerca facili consensi: immerso tra i tasti della sua Olivetti Lettera 22, scava nelle profonde contraddizioni dell’uomo medio per rivelare verità sgradevoli, agendo come uno specchio ustorio che la società preferisce non guardare.
La sua inesauribile attività di denuncia lo ha reso un bersaglio. Gli Scritti Corsari e il romanzo incompiuto Petrolio sono atti d’accusa diretti, che non temono di nominare i responsabili dei mali del Paese, tra stragi e manovre del potere occulto.
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che è in realtà una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili della strage di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so […] ( Scritti corsari, 14 novembre 1974)
Egli trascina alla sbarra l’Italia sul piano simbolico mentre viene trascinato letteralmente alla sbarra dall’Italia, che lo scaraventa fuori dalle aule dei tribunali, dalle redazioni giornalistiche, dalle case editrici per abbandonarlo, di notte, al martirio oltre il cerchio della polis.
Pasolini ha pagato con la vita per non aver mai voluto rinunciare alla sua libertà di pensiero e alla dialettica. Non ha mai smesso di confrontarsi, anche con chi riteneva avversario, per cercare la verità e sfidare l’autorità. La sua morte è l’estrema, tragica conferma di quanto il suo sguardo fosse pericoloso per il “sistema” che cercava di svelare.
A cinquant’anni dalla morte, le sue parole sono ancora un’accusa vivente. Continuano a bruciare. Fanno male. Sono un faro implacabile sul presente. Risultano eretiche. Squarciano il velo delle certezze rassicuranti, delle menzogne consolatorie, dei like facili. Costringono a guardare nello specchio deformante delle nostre vite omologate. Obbligano a confrontarci con ciò che siamo diventati, e che ci ostiniamo a ignorare. Inchiodano a scelte scomode. Corri il rischio di coltivare l’atrocità del dubbio – ci dicono. Interroga il presente, rifiuta le verità preconfezionate – ci suggeriscono. Preserva le culture particolari, le tradizioni locali; rispetta le identità dei popoli e degli individui: esistono altri modi possibili di vivere, di stare al mondo, di pensare. Vai alla ricerca di un progresso autenticamente culturale, civile, umano – ci urlano.
A coloro che rappresentano la forza vitale del cambiamento e i naturali contestatori di ciò che è stabilito, il nostro poeta visionario lascia una lezione fondamentale: la vera opposizione è un atto culturale perché si può contestare efficacemente solo ciò che si conosce in profondità.
Ogni attività di opposizione, qualsiasi desiderio di cambiamento, tutte le ribellioni contro le ingiustizie e l’omologazione devono essere alimentati da una lettura e uno studio profondo: la cultura non è un ornamento, ma un kit di sopravvivenza e l’arma più affilata. Conoscere i meccanismi del potere e le radici dei problemi permette di andare oltre gli slogan e di formulare una critica che sia strutturale e non solo emotiva.
L’intellettuale “corsaro” con lo sguardo acuto del dissidente non si sottrae mai all’esercizio della dialettica: si confronta, dubita delle sue stesse certezze, dialoga con l’altro. Nella sua lucidità di letterato onesto, accetta il confronto aspro, purché fondato sulla verità. La contestazione fine a se stessa può diventare sterile; quella arricchita dalla dialettica diventa un motore di crescita.
La sua lezione, oggi, è più che mai attuale.
La forza eretica della conoscenza è la nostra vera libertà.Usiamola.



Grande!!!
Grazie Daniela, per il tuo incisivo ed articolato contributo