C’era una volta il Napoli
di Pietro Aldo Mocerino (IIG)
L’amaro sabato di Empoli lo ha confermato: il Napoli non c’è più. Nessuna traccia sopravvive di quella squadra che aveva incantato nello scorso torneo, stravincendo con merito un campionato dominato fin dall’inizio. È bastata un’iniziativa di Fazzini, non contrastata in modo efficace da Juan Jesus sulla sinistra, per consentire a Gyasi di crossare indisturbato per la testa di Cerri, che non ha lasciato scampo a Meret. Tutto questo appena al quarto minuto di gioco, da quel momento il Napoli si è sciolto come neve al sole di primavera, una primavera quanto mai crudele, perché ha confermato che, mentre dovunque sbocciano fiori e frutti, nel giardino del Napoli tutto avvizzisce. Manovra sterile e senza idee, appena un tiro in porta con Osimhen nel primo tempo, una squadra senza grinta e personalità, che ha tremato ed è poi stramazzata anche al ‘Castellani’, meritando un bel ‘4’ collettivo in pagella. Non ci sono più parole per descrivere la metamorfosi di una favola che si è mutata in incubo, con l’agonia di una stagione iniziata male e che sta finendo peggio, anche il meteo, ad Empoli, ha rappresentato simbolicamente tutto questo, col sole che, alla fine, si è dovuto arrendere alla pioggia battente. Passi per le ambizioni europee che, ormai, sono diventate solo un lontano miraggio. Ma che dire dell’entusiasmo di un popolo, quello azzurro, che nel tricolore aveva identificato la speranza del rilancio di una città afflitta da tanti problemi? Che dire dell’esaltazione degli eroi dell’impresa, mitizzati per non dire divinizzati dai tifosi riconoscenti? Che dire dell’immagine festante ed imbandierata di una città che, finalmente, si riscopriva bella e pure vincente?
Tutto questo non c’è più. Sprecato nel giro di pochi mesi per colpa di tutti. Sì, di tutti. Nel dopopartita il tecnico, Ciccio Calzona, si è assunto per intero la responsabilità del fallimento, ma questa altro non è che una generosa bugia. Sono sotto gli occhi di tutti la svogliatezza e l’arrendevolezza di un gruppo che, al primo intoppo, alza bandiera bianca. Tutti possono rendersi conto che è venuta meno la fame, la voglia di vincere e, soprattutto, di convincere che quello giocato dal Napoli era un calcio che affascinava anche fuori dai confini italiani. Nel volgere di pochi mesi gli eroi sono diventati rinnegati. Perché non solo hanno tradito una città che li osannava, ma pure se stessi. Qualcuno, come Osimhen e Zielinski, ha già la testa al prossimo club, Kvaratskhelia gioca quasi da solo contro tutti, Rrahamni, orfano di Kim, si smarrisce anche davanti ad attaccanti che non sono certo Haaland o Lewandowski, Meret alterna parate decisive con incertezze fatali, Anguissa, già prima della Coppa d’Africa, è sembrato a dir poco arruffone e indolente, che dire poi di Di Lorenzo, il miglior terzino italiano, che da treno che sfrecciava sulla fascia si è involuto, trasformandosi in una diligenza che sbanda per l’assalto dei banditi? È penoso vedere come perfino Lobotka, regista di intelligenza unica, sia costretto ad annaspare inutilmente per tutto il campo. A questo punto non ci resta che consolarci con l’azzurro del cielo e del mare dell’estate ormai prossima, sperando che quello del Napoli, infangato in modo vergognoso, perché non degno dello scudetto conquistato trionfalmente, torni pulito. Pulito.