Dosto sul post-it
di Christian Aversano
Saranno ormai un paio di mesi che sull’anta estrema del mio armadio bianco e lucido decine e decine di fogliettini variopinti mi suggeriscono i libri da leggere. In realtà, però, faccio scegliere ai miei amici. Li chiamo per nome con la formula ricorrente:” è giunta l’ora per te di decidere, il momento designato è vicino” (okay non sono così teatrale, ma fingiamo per un attimo che io lo sia, è più divertente se vi pare), loro roteano, quindi, con somma curiosità il polso ed indicano con gesto preciso, anche se con gli occhi chiusi, un foglietto colorato.
Ovviamente in un momento così rilassante come la fine del quadrimestre poteva mai capitarmi un libro adatto al momento? Ovviamente no, che domande!
Memorie del sottosuolo, di Fëdor Dostoevskij.
Non ho mai parlato di questo autore; è sempre stato di mio gradimento, ma sento un pizzico di disagio sfiorarmi la pelle se penso di giudicare un simile colosso della letteratura, data la mia poca esperienza in materia. Quasi mi imbarazza parlare così di Dostoevskij, devo ammettere, infatti, che mai prima d’ora ho trovato l’occasione fortunata di confrontarmi con un pubblico tanto vasto come i lettori di questo giornale studentesco (*cogliere velata ironia grazie).
Il libro, senza voler tener conto della sua componente filosofica, è fondamentalmente una denuncia della società classista; ritengo tuttavia fondamentale chiarire, invece, cosa Dostoevskij intenda con “Sottosuolo”, parola che come un dardo trafigge la mia curiosità ogni volta che vien pronunciata, ma diamo tempo al tempo.
Il protagonista, di cui se non erro non viene mai citato il nome, è tormentato dal prestigio che non possiede: la sua posizione sociale, infatti, non è delle migliori; la sua povertà è però, in realtà, un espediente dell’autore per dirci che è egli anche privo di spessore intellettuale, di razionalità. L’uomo, spesso, anche quando si sente infimo dinanzi a situazioni, cose e persone, tende a sminuire gli altri per elogiare se stesso. Ciò si verifica in modo particolare in quei momenti del romanzo in cui il protagonista si fa trascinare dalla sua irrazionalità, essa diventa predominante e palpabile sulla scena a tal punto che potremmo quasi avvicinarci e percorrerne i rilievi col palmo della mano.
Il libro è diviso in due parti; la prima: “Il sottosuolo” tratta di argomenti vari il cui filo conduttore è appunto l’irrazionalità e la seconda: “A proposito della neve fradicia” sviluppa tale tematica attraverso il ricordo di avvenimenti passati.
Soffermandoci innanzitutto sulla prima parte, notevole rilievo è stato dato all’inconscio, paragonato ad un sottosuolo. L’uomo inevitabilmente desidera andare contro la ragione: anche se ricco e felice cercherà di autodistruggersi e soffrire, solo per mancanza di razionalità. L’uomo, “creatura bipede ed ingrata”, pur essendo, come dice Dostoevskij, ricoperto di tutti i beni della terra e annegato nella felicità fino a i capelli, “per pura ingratitudine, per pura beffa, vi farà una carognata. […] apposta desidererà la più distruttiva assurdità, la sciocchezza più antieconomica, unicamente per mescolare a tutta quella razionalità positiva il suo distruttivo elemento fantastico”. Ma questo è solo uno dei tanti esempi che l’autore adopera per svelarci i suoi pensieri, basti pensare al concetto di guerra. Il caro Fëdor, infatti, sembra quasi in un primo momento giustificare i nostri antenati, perché forse non riuscivano a comprendere che il conflitto non è mai di giovamento a nessuno, ma in seguito l’autore critica aspramente l’uomo moderno, che per avidità è disposto a sacrificare la sua stessa vita per un pugno di danari.
“Del resto, cos’altro avrebbe potuto fare un uomo il cui unico rimpianto è quello di non essere nemmeno riuscito a diventare un insetto?”
La vista mi si affatica, la Metamorfosi di Kafka riaffiora sul pelo dell’acqua ( letteralmente perché questo libro, o superstite di guerra, lo si chiami come si vuole, fu inondato e sommerso dall’acqua per colpa di una mefistofelica bottiglia malchiusa). Quando le antiche librerie iniziarono ad ospitare le Memorie del sottosuolo, però, Kafka aveva solo 7 anni, quindi in un certo senso Dostoevskij, anticipando la psicoanalisi che Kafka utilizzerà con la metafora dello scarafaggio, descrive un inconscio primordiale, in cui l’uomo tende a fuggire dalla realtà che lui stesso distrugge per puro diletto o incapacità.
La seconda parte del romanzo, invece, vede il protagonista che per la sua irragionevolezza (problema che sembra attanagliare il mondo intero in una spirale venefica) è tormentato dalla sua condizione sociale e si sente costretto, quasi come se ciò fosse una legge non scritta, a sottostare a chi gli sembra più importante. Per esempio, per far sì che un ufficiale si scansi e gli ceda il passo incrociandolo durante la passeggiata lungo il fiume Nevskij, attinge ai suoi risparmi e al suo stipendio pur di rendere il proprio cappotto un po’ più nobile e costoso a vedersi.
L’episodio più significativo de “A proposito della neve fradicia” è la cena infinitamente costosa del protagonista con gli ex amici e un vecchio rivale. In questa occasione, ogni tentativo di sentirsi non solo adeguato, ma anche superiore agli altri, risulta disperato. Tra il suo cercar invano di nascondere la macchia di mostarda sui suoi stracci e le offese rivolte ad un nobiluomo, tenterà di apparire non solo normale in una apparente normalità, ma soprattutto elevato in un contesto sociale che non gli appartiene.