La sonata a Kreutzer, un Tolstoj crudo e attuale
di Ginevra Fracasso (IIA)
La sonata a Kreutzer, romanzo breve del 1889 dello scrittore Lev Tolstoj, si apre in una stazione, dove un uomo, che rimarrà sconosciuto al lettore per tutta la durata della narrazione, sale su un treno e si trova ad ascoltare una discussione tra viaggiatori sull’amore e sulla sua reale natura.
In particolar modo, divergono nettamente i punti di vista di una donna, che ritiene che l’amore sia un sentimento puro e sincero sorretto dai pilastri dell’affinità spirituale ed il reciproco, profondo amore, poiché “sono soltanto gli animali [che] si possono accoppiare come vuole il padrone, ma gli uomini hanno le loro inclinazioni, i loro affetti…”, e quella d’un uomo, Vasja Pozdnyšev, “non vecchio ancora, ma con i capelli ricci evidentemente incanutiti prima del tempo e con gli occhi straordinariamente scintillanti che correvano rapidi da un oggetto all’altro. […] Sembrava che egli sentisse il peso della sua solitudine…”, il quale, se in un primo momento s’era astenuto dal dibattito, in seguito, rimasto solo con l’uomo sconosciuto appena salito sul treno, aveva iniziato a discorrere con quest’ultimo della sua visione sconsolata e rude del sentimento amoroso, portando poi il discorso a sfociare, con cruda e tagliente ironia, nel tempestoso mare del suo passato matrimonio. Ben presto, il romanzo assume toni ancor più cupi, ed il semplice racconto di un uomo solitario e distante, diviene la descrizione disturbante e freddissima di un femminicidio.
Sotto la penna concreta e dura di Tolstoj, la narrazione diviene emblema dell’odierna cronaca e della mentalità agghiacciante dei figli d’una società malata e perversa, che ancora subisce le ripercussioni delle ferite inflitte in passato, delle quali sarebbe un eufemismo scrivere che fanno fatica a rimarginarsi, poiché, quasi ogni giorno, vengono riaperte, con sempre maggiore violenza e furore… Lo stesso furore di cui narra Vasja, il quale, rivelandosi come bieco e truce assassino, si fa voce che porta il lettore ad un esame critico della realtà e dei tempi in cui vive, qualunque essi siano.
Attraverso le più angoscianti e meschine descrizioni, tutto il furor animalesco dettato dalla gelosia emerge attraverso una consapevolezza che colpisce e fa riflettere anche sulle più recenti, angoscianti, notizie di cronaca.
“Quando la gente dice che in un eccesso di furore non si ricorda di quello che si fa, è una sciocchezza, non è vero niente. Io ricordavo tutto e neppure per un attimo cessai di ricordare. Quanto più forte accendevo in me stesso il fuoco del mio furore, tanto più chiara si accendeva in me la luce della coscienza, alla quale non potevo non vedere tutto ciò che facevo…”.
Tolstoj, allora, con spregiudicata e sottilissima ironia, parla anche al nostro tempo, plasmandolo abilmente e con una crudezza necessaria affinché il messaggio possa essere davvero recepito a fondo, dimostrando ancora una volta in maniera lampante il valore, in senso lato, della letteratura, argilla che rimane fresca in eterno e, in ogni epoca, assume forme differenti, rendendosi specchio delle infinite sfaccettature dell’uomo e della comunità in cui egli vive.