Uno sguardo sui problemi degli studenti post-dad
di Francesca Tierno (IF)
È ormai risaputo che allieve e allievi affrontano molte difficoltà durante il proprio percorso scolastico. Queste sono però aumentate e peggiorate con l’avvento della pandemia, che ha privato tutte e tutti della socialità e ha creato una routine nella quale la DAD era al centro.
È stato quindi chiesto a alunne e alunni, chi più grande chi più piccolo, cosa pensassero delle conseguenze che la modalità online può aver avuto sulle loro abitudini, e se abbiano sviluppato problemi come l’ansia e si siano trovati ad affrontare attacchi di panico. Inoltre, al fianco delle opinioni degli studenti, c’è anche il parere dello psicologo Luca De Rose.
A molti ha creato problemi, ma per chi viveva situazioni di disagio (di natura didattica o sociale) a scuola, la quarantena ha forse portato qualche beneficio. “Ha agevolato molto nel recupero delle materie”, dice Antonio della 1H. Al contrario, un’altra studentessa, Carolina, guarda la situazione da un’altra prospettiva, e secondo lei la didattica a distanza “non ha fatto altro che allontanarci”. “La casa è come una bolla protetta” afferma Sara. Un’altra allieva invece dice che lo studio isolato degli scorsi anni ha reso la popolazione studentesca più insicura al rientro in presenza. Secondo lo psicologo, la DAD ha messo in difficoltà chi soffre di disturbi specifici dell’apprendimento, azzerando qualsiasi forma d’aiuto, e ha completamente eliminato l’aspetto sociale della scuola, facendo sì che l’alunna o alunno si chiuda in un guscio e diventi incapace di aprirsi.
Il Consiglio Nazionale Ordine Psicologi (CNOP) ha evidenziato che c’è stato un aumento del 20% di DCA, disturbi del comportamento alimentare, un aumento del 32% di depressione e ansia, e addirittura un aumento del 60% di attacchi di panico e della cosiddetta sindrome del “guscio vuoto”. Questa sindrome scaturisce un forte senso di mancanza quando viene lasciata la pr
opria abitazione dopo molto tempo. Riguardo le esperienze personali degli intervistati, molti hanno ammesso di aver provato ansia al rientro e anche a distanza. Proprio parlando della DAD, Michele di 1H dice: “Magari avevi sempre il timore di accendere il microfono e provare a dire la tua”. Invece, qualcuno, come Laura, dice di essersi sentito meglio durante il periodo d’isolamento, aggiungendo che gli attacchi d’ansia sono diminuiti. C’è da dire che però la causa di tutto questo non è il virus, che è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La generazione dei più giovani presentava già queste problematiche, che sono state oscurate e nascoste dai continui impegni pre-pandemia.
Un accenno alla socialità perduta è stato già fatto e nello specifico quasi tutti concordano sull’aver trovato difficoltà nell’instaurare nuovi rapporti e anche a mantenerne. Per Alessandro, 5H: “Di vecchi rapporti ne ho persi molti, senza vedersi e sentirsi”. Anche Leonetta di 1F esprime un suo disappunto raccontando di come il covid abbia ‘spezzato i legami’ che si erano creati con coetanei di altre classi. Tali ostacoli, secondo De Rose, devono essere visti come semplici occasioni perse: ora si presentano nuove possibilità e sfide per il corpo studentesco, che vanno assolutamente colte con saggezza e abilità.
Attualmente un nodo spinoso è rappresentato da ciò che la scuola mette in atto per tutelare e aiutare studentesse e studenti che combattono con depressione ed altri disturbi. Per alcuni, ciò che la scuola e i professori fanno è abbastanza, mentre per altri no. Luigi e Sara concordano: i professori sono abbastanza comprensivi e disponibili, e c’è anche uno sportello d’ascolto. Michele ricorda invece che non sono presenti abbastanza risorse, e perciò anche l’intervallo (che può apparire banale) è invece un momento simbolico di svago e sfogo.
Il pensiero dello psicologo è simile all’ultimo espresso, molti professori non sono aggiornati su questo genere di problematiche, e la presenza di una figura che ascolti alunne e alunni non è ancora obbligatoria. Potrebbero essere implementati corsi di formazione su queste tematiche e in particolare, uno psicologo dello sport potrebbe affiancare i docenti di scienze motorie nell’insegnamento di tecniche di gestione dell’ansia e di concentrazione durante lo studio.
Antonio infine conclude: “Io credo che la scuola possa fare di più, io credo che uno studente non si senta pronto a parlare di queste cose con un insegnante; spesso la scuola viene vista più come un percorso di formazione […] solo come questo e non come altro. Non credi di poter esprimere i tuoi problemi ma di dover pensare solo allo studio”.