WuMing: evviva Scaramouche, Supereroe della Repubblica!
del Prof. Lucio Celot
Io vengo a restituirti/un po’ del tuo terrore/del tuo disordine/del tuo rumore: così il trentenne bombarolo disperato di De André. Ma anche in bocca al trentacinquenne Leo Modonnet, alias Scaramouche, alias Leonida Modonesi, quelle parole non stonerebbero affatto: uno dei personaggi che affollano l’ultimo romanzo del collettivo bolognese WuMing L’armata dei sonnambuli (qui si può scaricare legalmente in formato digitale) è infatti proprio il castiga-accaparratori, l’ammazza-moscardini Scaramouche, l’uomo mascherato che nei giorni del Terrore Giacobino prima e Termidoriano poi fece parlare le cronache del tempo per le sue azioni volte a vendicare soprusi e violenze ai danni del popolo parigino.
Quindici anni dopo Q e sette dopo Manituana, gli ex Luther Blissett tornano al romanzo storico, stavolta ambientato a Parigi nei due anni che intercorrono tra l’esecuzione di Luigi XVI e lo scatenarsi della reazione borghese e filomonarchica (1793-1795). Alternando documenti autentici (estratti dagli atti della Convenzione, trattati pseudo-scientifici su mesmerismo e terapie ipnotiche) alle vicende corali dei personaggi “rappresentati” (i capitoli, in omaggio a Modonnet, sfortunato attore ammiratore di Goldoni, sono cinque atti divisi in scene e quadri), WuMing fa ancora una volta i conti con le storie di chi nel gran mare della Storia è annegato senza lasciare traccia di sé, se non in qualche documento d’archivio di cui vien dato conto – con grande precisione – al termine del racconto.
Tra Rivoluzione e Reazione, tra sollevazioni popolari e vendette della “Gioventù dorata”, nell’alternarsi convulso delle fortune politiche sancito dal lavorio instancabile di Madame Guillotine (Luigi Capeto, Marat, Danton, Hebert, Robespierre…) si snodano le vicende non solo di Leo L’ammazzaincredibili, ma anche di Marie Noiziere, una sarta che farà i conti con quanto sia duro a morire, anche nel mondo rovesciato della rivoluzione, il pregiudizio maschilista; del dottor Orphée d’Amblanc, medico-ipnotista, innamorato infelice che, dopo una missione in Alvernia, sventerà il complotto controrivoluzionario ordito dall’immancabile villain di turno, Auguste Laplace, alias Yvers, un altro fenomenale ipnotista che darà vita all’Armata del titolo; dello stesso popolo parigino, che come un coro interviene usando il “noi” (in un improbabile italo-gallico-bolognese) a commentare fatti e ribaltoni della neonata Repubblica.
Tutto il plot ruota, va detto, attorno al dibattito teorico dell’epoca e alle pratiche terapeutiche del mesmerismo e del magnetismo animale, basate sull’ipotesi che un fluido vitale universale percorra e attraversi i corpi degli uomini e che ogni malattia, del corpo quanto dell’anima, sia dovuta ad un difetto di circolazione di tale fluido. Attraverso l’ipnotismo, d’Amblanc e Laplace mettono in pratica gli insegnamenti di Franz Mesmer, sia pure con intenti diversissimi ma che li porteranno ad avvicinarsi progressivamente l’uno all’altro sino al confronto finale.
Le prospettive di lettura del romanzo sono decisamente molteplici (il rapporto tra uguaglianza e libertà, la difficoltà di portare avanti una rivoluzione dopo averla iniziata, il teatro e il mondo come rappresentazione) ma una in particolare mi sembra vada sottolineata: e cioè quella del potere come forza ipnotica e irresistibile, esplicitamente messa in scena da WuMing con l’esercito di sonnambuli insensibili al dolore fisico e pronti a obbedire agli ordini del controrivoluzionario Laplace. C’è molto Foucault nell’Armata dei sonnambuli, e non solo quello della Storia della follia nell’età classica, così evidente nelle parti ambientate nell’istituto per malati mentali di Bicetre, dove Laplace ripara dopo il fallito tentativo di liberare il Capeto e dove inizia il “reclutamento” dei soldati dell’Armata; c’è anche il Foucault di Sorvegliare e punire, giacché lo stesso ospedale di Bicetre bene rappresenta il concetto foucaultiano di “dispositivo” repressivo, nonostante il progetto “illuminista” di Pussin e Pinel – rispettivamente direttore e medico dell’ospedale – di curare con metodi più umani gli alienati mentali. Se Laplace-Yvers usa l’ipnosi a distanza per manovrare i suoi “automi” umani in funzione reazionaria, anche d’Amblanc, nonostante le apparenze e la buona fede, esercita un dispositivo di controllo sui suoi pazienti: cos’è il trattamento ipnotico, in definitiva, se non una forma di sottomissione di un uomo ad un altro uomo?
Ogni romanzo che voglia essere storico, si sa, parla inevitabilmente del nostro presente. Il ventennio che abbiamo appena attraversato (ma chissà se davvero è finito, visti all’opera i giovani “rottamatori” epigoni del Vecchio cui ancora non è stata tagliata definitivamente la testa – in senso foucaultiano, si intende…) ha reso molti di noi sonnambuli, insensibili e disillusi, nonostante i tentativi di resistenza e con tutti i rischi che questo comporta. Proprio come i “moscardini” agli ordini dell’oscuro Laplace, il quale, di fronte all’avanzata irresistibile dei “suoi”, si trova a sognare ad occhi aperti che
il prossimo soggetto a comparire sulla scena, quello che avrebbe ristabilito un ordine risonante con l’ordine del mondo, si sarebbe forse presentato come un campione della generalità delle persone, o meglio come l’incarnazione delle assurde superstizioni e circonvoluzioni dei più. Per perseguire l’ordine, si sarebbe presentato come campione della medietà. Un condottiero capace di passare per uno della truppa. Un demarca.
Insomma, de te fabula narratur; ma di Scaramouche, da queste parti, neanche a parlarne…
WuMing, L’armata dei sonnambuli, Einaudi 2014
P.S.: auguri sinceri alla redazione di Pausa Caffe Pansini per questa nuova avventura…