Di come il dottor Freud imparò a vedere nell’oscurità (e salvò la vita a Franz Joseph) – Freud (Austria-Germania, 2020)
del prof. Lucio Celot
Sia chiaro: Freud non è una serie biografica che racconta la vita del padre della psicanalisi: siamo a Vienna nel 1886 e il giovane neurologo si trova coinvolto, suo malgrado, in un gioco più grande di lui, un complotto ordito dalla ribelle aristocrazia ungherese per uccidere nientemeno che l’imperatore in persona, Francesco Giuseppe. Strumento per portare a termine la criminosa impresa è una giovane donna, Fleur Salomé (il nome ricorda Lou von Salomé, la studiosa di origine russa che fu in intimità con Nietzsche e con il poeta Rilke, nonché amica dello stesso Freud), dotata di poteri sciamanici e mediatici, posseduta da un demone del folklore magiaro, il Táltos, che ha la capacità di liberare le pulsioni negative e aggressive dell’essere umano. Fleur è controllata a sua volta dalla zia adottiva, Sofia, una nobile ungherese che ha visto sterminare la propria famiglia dalle truppe imperial-regie e ha giurato vendetta contro l’imperatore. Attraverso pratiche ipnotiche, che sono il motivo conduttore della serie, Sofia condiziona l’ignara Fleur che, a sua volta, può controllare le menti altrui e indurle a comportamenti omicidi.
L’ipnosi, si diceva. Come è noto, nel 1885 Freud, assistente medico a Vienna, passò un periodo di studio a Parigi presso lo specialista dell’isteria più famoso d’Europa, Jean Martin Charcot. Costui utilizzava uno strumento medico decisamente desueto, l’ipnosi, per indurre nelle pazienti isteriche uno stato di rilassamento durante il quale, su ordine dello stesso Charcot, esse si liberavano momentaneamente del sintomo isterico, che riappariva al termine dello stato ipnotico. Questo fenomeno toglieva, evidentemente, ogni legittimità alla spiegazione organicista dell’isteria, che invece era alla base della cura delle malattie nervose a Vienna (e nel resto dell’Europa positivista). Nella serie tv di Netflix, Freud è lo zimbello dei suoi colleghi (un ciarlatano con l’aggravante di essere ebreo) e la disperazione del suo superiore diretto, il dottor Meynert, che considera con sufficienza e preoccupazione i tentativi del giovane di utilizzare gli stessi metodi di Charcot.
Coinvolto nella vicenda di Fleur e dei suoi familiari adottivi, un conte e una contessa ungheresi a capo di una rete di cospiratori, Freud si trova di fronte al fenomeno della dissociazione della personalità della giovane, a cui riesce a porre rimedio proprio attraverso l’ipnosi; lo stesso metodo utilizza anche per guarire la nevrosi da trauma dell’ispettore di polizia Kiss con cui Freud collabora nelle indagini su alcuni efferati delitti che avvengono nella capitale (tutti riconducibili alle capacità medianiche della stessa Fleur). Insomma, nella finzione di Freud, il fondatore della psicanalisi (che, ça va sans dire, contribuirà a sventare l’attentato a Cecco Beppe) avrebbe avuto conferma delle sue teorie sulle nevrosi isteriche e l’inconscio partecipando attivamente ad un’indagine poliziesca a sfondo occulto e sovrannaturale. Negli episodi si vedono molte stanze buie e porte che si aprono e chiudono: Io sono una casa, è buio al mio interno. La mia coscienza è una luce solitaria. Una candela al vento. Tutto il resto è avvolto nell’ombra. Tutto il resto giace nell’inconscio. Ma le altre stanze ci sono: nicchie, corridoi, scale, porte. Sono sempre lì, recita in un paio di occasioni la voice-off di Freud (meno poeticamente e sinteticamente: l’inconscio è la totalità della vita psichica); sogni e visioni affollano la mente dello spaesato medico (dedito, tra l’altro, all’uso frequente della cocaina): e qui, forse, la sceneggiatura pecca di ingenuità e didascalismo (il passo dalla finzione romanzesca al ridicolo è, nella serie, molto sottile), quando assistiamo all’amplesso tra Freud e la Madre e allo strangolamento del Padre.
Al netto di questi passaggi che creano qualche imbarazzo nello spettatore con un minimo di conoscenze, in una Vienna che assomiglia molto alla Londra vittoriana in cui, anno più anno meno, imperversava Jack lo Squartatore, Freud mantiene le aspettative che fa nascere con il primo episodio (e sappiamo quanto sia importante l’episodio pilota di ogni serie tv, Mittell docet): politica, mistero, sovrannaturale, un po’ di horror, atmosfere gotiche, sangue a profusione, un protagonista incompreso che deve sgomitare per farsi largo nel mare magnum dell’ottusità e della chiusura di una cultura positivista e materialista. Ogni episodio porta il titolo di una parola-chiave della psicanalisi (Trauma, Rimozione, Desiderio, Regressione, Totem e tabù, ecc.) dando così alla serie la fisionomia di una sorta di silloge del pensiero freudiano, fermo restando che siamo ben lontani dalla realtà storica e in parecchi storceranno il naso.
L’ultimo episodio vede Freud dimettersi dall’incarico all’ospedale e iniziare la sua attività privata: dieci anni dopo, nel 1895, insieme a Breuer metterà a frutto l’esperienza accumulata nella cura della sintomatologia isterica e pubblicherà gli Studi sull’isteria, un testo che pone le basi della futura terapia psicanalitica e anticipa solo di qualche anno L’interpretazione dei sogni (1899), il libro che cambia per sempre la storia dell’Occidente a inaugura il XX secolo.
Freud (id.), Austria e Germania 2020
Stagione 1 (ep.1-8)
Distribuzione: Netflix