L’opera seconda di un formidabile genio: il post-postmodernismo di D.F.Wallace
del professor Lucio Celot

Wallace dà subito l’impressione di collocarsi
al di là della calcolata fregatura del postmodernismo.
La surreale – terrificante – bellezza dei nostri giorni gli appartiene,
e così i ritmi, le contraddizioni, le contaminazioni.
Wallace è, nel bene e nel male,
la voce penetrante e acuta del presente.
(S.Birkerts in “Wigwag”)
Quando ho scoperto la scrittura nel 1983
ho scoperto una cosa capace di offrirmi
un senso di realizzazione molteplice
(morale/estetica/esistenziale/ecc)
e un piacere quasi genitale
che non mi ero nemmeno illuso di poter trovare.
(DFW, lettera a Jonathan Franzen)
Enfant prodige della letteratura americana a cavallo di due secoli, morto suicida a soli 46 anni, David Foster Wallace (1962-2008) ha lasciato dietro di sé tre romanzi (di cui l’ultimo incompiuto), decine di racconti, interventi critici, saggi su televisione e costume, esilaranti reportage, persino acute e profonde riflessioni sul tennis, sport in cui eccelleva e a cui ha dedicato il famoso ritratto di Roger Federer. In poco più di un ventennio, DFW ha fatto i conti con il realismo minimalista alla Carver da un lato e con il gusto del frammento e della dissacrazione dei grandi maestri postmoderni (Barthelme, Pynchon e DeLillo) dall’altro, andando oltre e trovando una propria voce che ne ha fatto uno degli scrittori più importanti e innovativi della sua generazione. Per tutta la sua breve vita, DFW ha lottato e combattuto con l’ossessione della scrittura, con la dipendenza da alcol e droghe leggere e, soprattutto, con la “Cosa Brutta”, la depressione che a fasi alterne lo ha colpito e che, alla fine, ha avuto il sopravvento.
DFW è uno scrittore difficile: e non perché la sua prosa sia oscura o contorta o perché fossero Wittgenstein e Derrida i fari che orientavano le sue riflessioni filosofiche (pensatori decisamente impegnativi sul piano della teoria); tutt’altro, la sua attenzione maniacale per la grammatica e l’uso esatto delle parole era proverbiale; piuttosto, i suoi racconti e i romanzi hanno una forma anomala, priva dello scioglimento finale che il lettore comune si aspetterebbe; i saggi alternano pagine fitte di linguaggio tecnico e ostico a passaggi colloquiali e informali, quasi parlati; il gusto della digressione e l’uso delle note (più di cento pagine in Infinite Jest, l’opera-mondo di DFW) impediscono una fruizione lineare della lettura; gli stili e i registri di diversi generi letterari si mescolano e confondono spesso dentro la stessa pagina. E tutto questo, ripeteva lo scrittore, non per sfoggio o a beneficio dell’autore, ma a vantaggio del lettore, di cui DFW voleva combattere la dipendenza da forme di intrattenimento (in primis, quella televisiva) consolatorie e pacificanti.

La ragazza dai capelli strani è la prima raccolta di racconti, opera seconda dopo La scopa del sistema (un romanzo ancora influenzato dalla metafiction postmoderna, quasi disconosciuto dall’autore), ed è un buon modo per iniziare ad accostarsi all’opera di DFW. Della raccolta, che vorrebbe “cogliere il tutto dell’America” con i suoi stimoli violenti provenienti dalla vita reale, vogliamo segnalare qui due racconti in particolare, quelli che hanno a che fare col mondo della televisione e dei media, “Piccoli animali senza espressione” e “La mia apparizione in Tv”. I due racconti andrebbero letti insieme ad un articolo che DFW scrisse nel 1990, E unibus pluram. Gli scrittori americani e la televisione, nel quale con grande acutezza, proprio lui che era un consumatore compulsivo di televisione, evidenziava il pericolo della dipendenza da uno strumento che, ben lungi dal dare sollievo alla solitudine del singolo, ne reiterava, invece, gli effetti funesti. Trivialità, volgarità, impoverimento della vita intellettuale, uso conformista e diffuso dell’ironia che perde, così, la sua carica critica: tutto ciò anche a causa di programmi come quelli in cui sono ambientati i due racconti citati, e cioè Jeopardy! (un gioco a premio) e Late Night with David Letterman (uno dei più famosi talk-show della tv americana). Nel primo, la ventenne Julie Smith stravince qualcosa come settecento puntate del quiz, costringendo i produttori a rivedere le regole del programma (la partecipazione limitata a non più di cinque puntate) quando si rendono conto che la potenza dell’immagine di Julie (insignificante e insulsa in privato, ipnotica davanti alle telecamere e al pubblico di casa) fa volare altissimi audience e introiti pubblicitari; nel secondo racconto, Edilyn, un’attrice televisiva famosa per la serie tv di cui è protagonista, pur sconsigliata dal marito produttore televisivo, accetta di sottoporsi alle domande imbarazzanti e spiazzanti di David Letterman (leggendario conduttore e autore comico dell’emittente CBS, per più di vent’anni un autentico mattatore della tv via cavo) sullo spot pubblicitario che la donna ha accettato di girare per una marca di wurstel. Superato lo stress pre-trasmissione (anche con il provvidenziale ausilio di una pastiglia di Xanax), la partecipazione allo show è un successo, grazie anche all’autoironia che l’attrice sfoggia con nonchalance; al termine della serata, mentre la limousine messa disposizione dall’emittente accompagna l’attrice e il marito a un ristorante di lusso, le riflessioni sull’artificialità e la convenzionalità dell’immagine che viene restituita dal mezzo al pubblico spingono Edilyn a chiedere e a chiedersi “chi fossimo allora realmente”: domanda che, forse, chi lavora nei media farebbe meglio a non porsi mai.
Ridi senza scomporti. Comportati come se sapessi fin dalla nascita che è tutto trito, artificiale, vuoto, assurdo e che proprio per questo è divertente: contro lo “svuotamento” di senso operato dalla società dello spettacolo e in alternativa alla “tranquilla” prosa minimalista, i racconti di DFW, che “non battono il solito sentiero”, “troppo intelligenti per sfondare” (così una cortese lettera di rifiuto di Playboy) sono piccoli gioielli talentuosi che sarebbe un peccato perdersi. Leggere per credere.
David Foster Wallace, La ragazza dai capelli strani, minimum fax 2017
Per saperne di più sulla biografia e le opere di DFW:
D.T.Max, Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi. Vita di DFW, Einaudi 2013;
D.Lipsky, Come diventare se stessi. DFW si racconta, minimum fax 2011.
Un’antologia degli scritti di DFW, utile per prendere confidenza con l’autore:
a cura di AA.VV., DFW portatile, Einaudi 2019 (con introduzione di S.Bartezzaghi).