Non ho peccato abbastanza, Mondadori 2007
di Eliana Rubinacci I A
Non ho peccato abbastanza è una raccolta di poesie edita da Mondadori, pubblicata nel 2007. L’antologia raccoglie alcune poesie di 29 poetesse arabe contemporanee tradotte da Valentina Colombo, traduttrice del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz e di tanti altri autori arabi classici e contemporanei.
Le poetesse presenti in quest’opera sono donne che sono riuscite ad affermarsi nella loro società, dimostrando che c’è anche un altro tipo di donna araba, libera e indipendente e in grado di combattere contro tutti gli ostacoli che le vengono imposti. Ed è proprio questo quello che vogliono esprimere nelle loro poesie: il desiderio di libertà, di ribellione ma anche il superamento dei cliché occidentali sul mondo arabo e in particolare sulla donna incapace di reagire alle violenze dell’uomo. E’, infatti, dalla immensa determinazione della donna araba, la quale in una società spiccatamente maschilista è costretta a subire continui soprusi e discriminazioni, che deriva il titolo dell’antologia Non ho peccato abbastanza. Se persino la libertà è considerata un peccato, la donna, allora, non smetterà mai di peccare abbastanza.
L’intera raccolta è pervasa da una appassionata sensibilità femminile: le poesie raccontano l’essere donna concentrandosi sulle sue emozioni e sensazioni ed esprimendo la sua inquietudine più profonda. Dai versi di Amal al-Juburi – Non è la bellezza che mi conduce a te, scrittura,/bensì la perdizione dell’anima – si può intuire che quella di narrarsi è una vera e propria necessità della donna, la quale vuole trovare una dimensione che le permetta di dare sfogo alla propria interiorità. Le poetesse, infatti, utilizzano la scrittura come mezzo di emancipazione e di liberazione dell’anima, accogliendo così la poetica di Nazib al Mala’ika, che è colei che ha rivoluzionato lo schema metrico rigido e inalterabile della lirica araba.
Tutto ruota intorno al desiderio di frattura col passato e con la tradizione. I bellissimi versi di A’isha al-Taymuriyya: Sfido il mio destino, la mia epoca/Sfido l’occhio umano./Schernirò le regole ridicole e la gente/Questo è il fine:/colmerò i miei occhi di pura luce/e nuoterò in un mare di sentimenti liberi./Ho sfidato la tradizione e la mia condizione assurda/Superando il limite consentito dal tempo e dal luogo, rappresentano esattamente la ribellione ad una cultura tradizionale dominante a cui la donna vuole contrapporre l’affermazione di se stessa. Non a caso le poetesse si ispirano a Enheduanna, sacerdotessa sumera e prima poetessa della storia vissuta tra il 2285 e il 2250 a.C., che ha infranto gli schemi della scrittura utilizzando una narrazione in prima persona, e Lilith, considerata tanto dalla tradizione mesopotamica quanto da quella biblica, la prima “Eva”, la quale, per essersi ribellata all’uomo dominatore, è stata trasformata in un demone. Enheduanna e Lilith sono le prime due ribelli della Mezzaluna fertile ed oggi simboli della produzione poetica contemporanea femminile in lingua araba. Infatti sono anche protagoniste di alcune poesie come Enheduanna e Enheduanna e Goethe di Amal al-Juburi e del poemetto Il ritorno di Lilith di Joumana Haddad.
Le poesie sono un meraviglioso grido di libertà, ne è un esempio Libertà di Nada al-Hajj, in cui la poetessa esorta tutti coloro che si sentono oppressi e sottomessi a porre fine alla loro schiavitù: Schiavi di noi stessi, dei nostri amori, dei nostri sovrani/ schiavi dei confini, dei sensi e delle parole/ schiavi delle apparenze, delle abitudini e delle credenze/ schiavi sottomessi/ sognatori/ ribelli/ fendete il cuore che vi ha ferito/ e gettatelo nel fuoco!
Le donne raccontano anche la loro condizione di solitudine disperata nel rapporto di coppia con l’uomo, che non le considera come esseri umani ma solo come oggetti, dimostrando ancora una volta la profonda consapevolezza della loro triste esistenza; superano il tabù della sessualità attraverso la libertà che solo la scrittura permette loro di avere, immaginando e rivivendo nella memoria un amore passionale, a volte con struggente nostalgia.
Pertanto i componimenti esprimono non solo la forza, ma anche la “stanchezza” della donna, come direbbe Wafaa Lamrani, che non vuole più sentirsi in colpa nel voler provare ad emanciparsi e ad affermarsi nel mondo, che è stanca di non poter amare liberamente, di essere costantemente sottovalutata ed è stanca di essere giudicata negativamente per il suo orgoglio di essere donna.
Non ho peccato abbastanza è rivoluzionario, ribelle, schietto. E’ un vero e proprio inno alla vita e permette di entrare in un universo più complesso di quanto si immagini e di superare qualsiasi barriera geografica, storica e culturale.