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Sit-in per la Palestina: gli studenti tornano a farsi sentire

di Nicola d’Ajello (IE) 

Riflessioni e opinioni personali

Alle 11:05 di sei giorni fa, subito dopo il primo intervallo, i corridoi del nostro liceo si sono riempiti di studenti seduti a terra, vicino alle macchinette e lungo la rampa. È lì che ha avuto luogo un sit-in pacifico, organizzato per protestare contro la repressione della Global Sumud Flotilla, bloccata e attaccata in acque internazionali dalla marina israeliana.

La partecipazione è stata ampia: decine di studenti si sono fermati per esprimere solidarietà e discutere insieme. I professori presenti hanno osservato senza intervenire, lasciando spazio al confronto spontaneo tra i ragazzi. Durante il sit-in si sono affrontati anche temi più ampi: la necessità di impegnarsi politicamente, la consapevolezza collettiva e la contraddizione tra le parole e i fatti di chi governa.

Molti hanno ricordato la frase attribuita a Voltaire – “Non condivido la tua opinione, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di esprimerla” – come simbolo del valore del dissenso e del diritto alla parola, anche in tempi in cui esprimere un pensiero libero sembra quasi un atto di coraggio.

 

A mio parere, questo sit-in è stato un momento importante. Ha dimostrato che la comunità studentesca, seppur reduce da un periodo di silenzio politico, è ancora viva, consapevole e pronta a lottare per ciò che ritiene giusto.

Nella maggior parte degli interventi ho colto una direzione comune: la volontà di non restare in silenzio, di partecipare, di riconoscere che la politica non è distante da noi.

Come ho detto anche durante il sit-in, ora non dobbiamo fermarci. Dobbiamo ampliare il fronte, scendere in piazza, discutere insieme di tutto ciò che accade: non solo della questione palestinese – fondamentale – ma anche della guerra in Ucraina, dei tagli al welfare europeo per finanziare una difesa da un nemico non ben definito, e di una società che preferisce investire miliardi in armi invece che in scuola, salute e cultura.

Il nostro obiettivo deve essere coalizzarci, unendo studenti, coordinamenti, partiti e altre classi sociali, per creare un fronte popolare solido, capace di curare ciò che abbiamo lasciato deteriorarsi.
Perché sì: se oggi abbiamo un governo di estrema destra, complice di un genocidio e di decisioni discutibili, la responsabilità è anche nostra.
Con il nostro silenzio, negli anni, abbiamo lasciato passare leggi e politiche sempre più oppressive: dai Decreti Sicurezza di Salvini (2018–2019), all’istituzione del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che rischia di mascherare sotto l’idea di giustizia una selezione sociale, fino alla retorica del lavoro, in cui il valore umano viene misurato sulla produttività.
Un’idea che, per certi versi, ricorda la logica disumana del “Arbeit macht frei”, dove la sofferenza veniva giustificata come mezzo di redenzione e disciplina.

Ciò che voglio dire è che il silenzio distrugge più di qualunque altra cosa.
Spesso pensiamo che la politica sia fatta solo da chi è al potere, ma la verità è che la politica siamo noi. Siamo noi il cardine di questo Paese, e il futuro dipende da quanto sapremo agire oggi, affinché domani non si debba più vivere in guerra, ma in un mondo libero, pacifico e fondato sul progresso umano, non sulla paura.

 

Un pensiero su “Sit-in per la Palestina: gli studenti tornano a farsi sentire

  • Fornaro Stefano

    Grazie Nicola per queste tue importanti riflessioni.
    Concordo con te: il sit-in è stato un momento molto importante di discussione e di confronto. E come hai detto tu, sebbene noi tutti fossimo completamente d’accordo con le motivazioni e la causa che stanno alla base di questa azione e delle proteste pacifiche di questo periodo, noi docenti non siamo intervenuti proprio per lasciar spazio al confronto tra voi e all’apertura del dialogo anche in maniera più trasversale.
    E riporto quanto ho scritto a risposta nell’altro post: la cosa bella, sia a livello scolastico sia nazionale ma anche internazionale, è la consapevolezza che i popoli stanno acquisendo sull’orrore di quanto sta accadendo, la presa di coscienza su episodi gravissimi e il fatto di mettere su tante proteste pacifiche proprio per dire, pacificamente appunto, che non vogliamo passivamente accettare le decisioni di chi vorrebbe, con la forza e con le armi, imporre la propria visione.

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