ApocalypseVietnam #5: Storia di una foto: “The Napalm Girl”

del prof. Luio Celot
Nick Ut, “Il terrore della guerra” (1972)

Un gruppo di bambini fugge dopo un bombardamento al napalm su Trang Bang, a una quarantina di chilometri da Saigon, la capitale del Vietnam del Sud; sullo sfondo si intravede il fumo, più avanti alcuni soldati vietnamiti camminano indifferenti e, in secondo piano, una bambina di nove anni fugge terrorizzata: si chiama Kim Phuc, è completamente nuda e ustionata, i suoi vestiti sono stati bruciati dal composto tossico che incendia tutto ciò con cui viene a contatto e, letteralmente, “succhia” l’aria dai polmoni. È l’immagine più iconica della guerra del Vietnam, nota come “The Napalm Girl” e valse al fotografo che la scattò, poco più che ventenne, il premio Pulitzer; non solo, ma la foto della bambina fece il giro del mondo e contribuì a cambiare radicalmente la percezione del conflitto da parte dell’opinione pubblica.

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            Al di là del suo valore documentario e storico, la foto non è solo una rappresentazione della brutalità della guerra del Vietnam, ma è diventata il simbolo universale delle sofferenze civili inflitte dalla guerra in generale; lo scatto di Ut (il cui vero nome è Huyn Cong Ut) ha il potere di umanizzare il conflitto, ricordando che dietro ogni guerra ci sono vite, corpi e anime spezzate. Il corpo di Kim è l’innocenza violata, nuda, piangente e ferita; è l’esplicitazione palpabile del dolore che la guerra, da sempre, infligge alle popolazioni civili; è la denuncia della ferocia esercitata dalle armi chimiche sulla vulnerabilità del corpo umano. Il volto e le braccia di Kim sono tesi mentre corre gridando, la sua richiesta disperata di aiuto grida al mondo intero l’ingiustizia di una guerra apparentemente lontana e la fa irrompere nelle tranquille case di milioni di persone; la nudità disarmante della bambina, spogliata dei suoi vestiti e di ogni altra protezione, è la nostra stessa nudità, esposta al ferro e al fuoco della guerra. Ut ha reso questa nudità un’immagine universale e senza tempo.

Nick Ut (al centro) e Kim Phuc (a sinistra) oggi

            Kim Phuc Phan Thi ha subito decine di interventi chirurgici per trattare le gravissime ustioni causate dal napalm; il percorso di guarigione fisica è stato lungo e doloroso ma è stato anche un viaggio personale di guarigione psicologica ed emotiva. Per molti anni, Kim ha odiato quella foto e ciò che rappresentava, un peso difficilissimo da portare; quell’immagine era diventata un’icona della guerra del Vietnam, e per lei significava ricordare continuamente il trauma e il dolore fisico e psicologico: per molti anni si è sentita esposta e vulnerabile, come se la sua storia fosse stata ridotta a quel singolo istante. Col tempo ha imparato ad accettarla come parte del suo passato e della sua identità. Oggi, Kim ha trasformato la sua terribile esperienza di vita in una testimonianza di pace e riconciliazione: è ambasciatrice dell’UNESCO e a Toronto ha fondato la Kim Foundation International, per fornire assistenza medica e supporto psicologico ai bambini vittime di guerra.

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            Tutto questo dolore non è stato inutile. L’immagine di Ut si è trasformata, nel tempo, in un simbolo di resistenza e di possibilità di guarigione, ha agito come catalizzatore di un cambiamento sociale e politico. Dopo la sua pubblicazione, negli USA e nel mondo intero quella fotografia spazzò via qualunque forma di narrazione eroica o giustificatrice del conflitto e ridefinì il potere del reportage di guerra: l’impatto emotivo fu travolgente, non più una foto di soldati impegnati in combattimento ma l’immagine che ha saputo comunicare più efficacemente di migliaia di parole tutta la sofferenza e l’orrore di quella guerra. Di tutte le guerre.

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