Apologia della Parola

di Alessandro Palladino (3E)
(copertina di Lucia Palmieri)

“Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica”.

Con queste poche parole, tratte da un suo discorso del 2006, il giurista italiano Gustavo Zagrebelsky trasmette un messaggio estremamente importante e attuale riguardo l’importanza di saper usare il proprio linguaggio, ponendo lo sviluppo di quest’ultimo in diretta relazione con quello della democrazia. Senza un’appropriata padronanza del linguaggio da parte della nazione che ne fa uso, non ci può essere democrazia. Senza le parole, non ci può essere dibattito né discussione di alcun tipo e diventa sempre più facile lasciarsi persuadere o, più appropriatamente, ingannare da un discorso carismatico, da un giro di parole complesso, da sorrisi smaglianti che nascondono lingue avvelenate. Soprattutto in questo periodo storico, ora che, tramite i media, il discorso di un politico o il contenuto di un dibattito puù raggiungere un’audience immensa nel giro di pochi secondi, non possiamo permetterci di acconsentire a certe tendenze politiche senza renderci pienamente conto di ciò che possano promulgare. Del resto, rovescio della medaglia di questo continuo flusso di informazioni è la continua semplificazione dei contenuti, che mira ad attirare maggiore attenzione possibile con titoli accattivanti e ingannatori.

L’importanza del linguaggio, però, si estende per qualunque individuo anche alla sfera intima, quella dei suoi sentimenti. L’uomo è stato definito più volte nel corso degli anni un animale sociale, da personaggi come Aristotele e John Locke: per essere felice, ha bisogno di relazionarsi con i suoi simili, di confrontarsi regolarmente con i suoi pari, di discutere le proprie emozioni, la propria paura, rabbia, angoscia. Inutile dire che senza il linguaggio tutto ciò può solo crollare: un uomo che non conosce le parole per descrivere la paura non può fare altro che soffrire, accumulando pressione senza alcuna valvola di sfogo, finché non scoppia. La violenza è spesso conseguenza di una tale carenza linguistica: chi non conosce davvero la rabbia se non nella forma pratica, chi non ha altro modo di sfogarsi, può relazionarsi con gli altri solo tramite la violenza e la collera.

Come per ogni altro ambito, la formazione linguistica di un individuo dipende maggiormente da tre strutture: la famiglia, la scuola e lo Stato. Se spetta soprattutto alla scuola il compito di istruire ed educare futuri cittadini e promuovere un utilizzo intelligente del linguaggio, è invece compito dello Stato assicurarsi che ognuno abbia accesso alla scuola stessa; che chiunque, nonostante le condizioni di partenza, sia in grado di raggiungere la stessa meta. Il linguaggio non è un lusso, e pertanto è giusto che in un paese civile e democratico una tale conoscenza sia fornita a tutti.

Il corretto uso della lingua deve essere considerato la facoltà umana più importante: da secoli, scrittori e filosofi ci distinguono dagli altri esseri viventi che ci circondano proprio per l’utilizzo che noi facciamo del linguaggio. Dopotutto, sarebbe difficile trovare un altro criterio di identità che permea e influenza in modo così radicale ogni aspetto delle nostre vite. Che vita politica potremmo sperare di avere, senza la facoltà di esprimere le nostre opinioni? Quali affetti, senza poter comunicare le nostre emozioni? Quale vita sociale, senza confrontarci con gli altri in ogni aspetto che ci interessa?

C’è chi direbbe che le azioni sono ciò che contano davvero, che i fatti parlano più chiaramente delle parole, ma la verità è che sono due metà che devono coesistere. Se non fosse per il linguaggio, ogni differenza, ogni discussione si concluderebbe con la violenza; senza il linguaggio, non potremmo confortare un amico lontano, troppo lontano da raggiungere con una carezza, ma non con una parola; e per quanto riguarda la politica, essa non potrebbe esistere affatto, ma piuttosto vivremmo in perenne anarchia. Per vivere felici, per non soffocare dolorosamente le nostre emozioni, per dare forma al nostro mondo e non limitarci a una realtà sola e buia, c’è bisogno di confronto. E affinché ci sia confronto, bisogna saper usare la propria lingua.

 

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