La “versione di Anna”: il cuore truffaldino del sogno americano Inventing Anna (USA, 2022)
del prof. Lucio Celot
Tratta da una storia vera e dall’articolo di Jessica Pressler How Anna Delvey Tricked New York’s Party People, Inventing Anna è stata la miniserie Netflix in lingua inglese più vista dopo Squid Game. È la storia di Anna Sorokin, alias Anna Delvey, che tra il 2013 e il 2018 ha truffato a New York amici, banchieri, istituzioni finanziarie, agenzie di servizi e direttori di hotel per centinaia di migliaia di dollari: arrestata nel 2018, è stata processata per otto capi di imputazione (tra cui il furto di un jet privato!) e condannata a dodici anni di reclusione.
Solo una storia di truffe come tante? Perché, allora, Shonda Rhimes, la signora della TV seriale americana (sue Gray’s anatomy, Le regole del delitto perfetto, Bridgerton) insieme a Netflix si è fiondata ad acquisire i diritti della storia, pagando ben 320.000 dollari alla Sorokin (che dovrà utilizzarli per rifondere le sue vittime)? Cos’ha di intrigante la storia dell’ennesima tentata e fallita ascesa al gotha del bel mondo nella Grande Mela? La risposta sta nel disclaimer che apre ogni episodio, Tutta questa storia è vera. Tranne che per le parti del tutto inventate, che gioca sull’ambiguità di fondo di tutta la vicenda e della protagonista: cosa c’è di vero e cosa di inventato nella versione dei fatti offerta da Anna Delvey/Sorokin? Siamo di fronte ad una delle tante socialite che cerca solamente la notorietà frequentando l’alta società e l’intellighenzia newyorkese? O Anna aveva davvero un sogno, quello di dare vita ad una fondazione esclusiva (l’ADF, Anna Delvey Foundation) che raccogliesse in un’unica sede (la prestigiosa e monumentale Church Mission House di New York) mecenati e artisti di fama mondiale? La sua lotta per affermarsi in un mondo cui non appartiene per nascita è autentica? O Anna è solo una scaltra mitomane che fa di tutto per vivere alla grande tra abiti griffati e alberghi di lusso? È la storia di chi utilizza mezzi illeciti per farsi strada nella New York che conta? O le lacrime e la rabbia di Anna in carcere sono davvero l’espressione di un sogno che si è infranto?
La Sorokin, di origini russe, si presentava come un’ereditiera tedesca con la disponibilità di un fondo di 60 milioni di dollari in Germania, fondo bloccato (sosteneva) a causa del rapporto conflittuale con il ricchissimo padre (in realtà un camionista russo trasferitosi in Germania dopo la caduta del muro) e, forte di questa menzogna che incredibilmente convinceva tutti, dagli amici intimi ai dirigenti di istituzioni finanziarie come la Fortress e la Citybank, è riuscita a entrare nelle grazie e sotto l’ala protettiva di finanziatori, mecenati e artisti come l’architetto Calatrava e Damien Hirsch.
Nella miniserie alla figura di Anna fa da contrappunto un’altra donna, Vivian Kent, la giornalista di un magazine che, momentaneamente relegata ad un ruolo minore nella redazione, diventa letteralmente ossessionata dalla vicenda, intervista Anna in carcere (non senza le perplessità dei capi della rivista) e inizia una difficile ricerca della verità che la porterà nell’arco di diversi mesi a scrivere un articolo-inchiesta che farà scalpore. Come nel Quarto potere wellesiano, seguiamo l’ambigua vicenda di Anna attraverso gli occhi dei testimoni intervistati da Vivian, l’ex fidanzato, le amiche Neff, Kacy e Rachel (quest’ultima, redattrice di Vanity Fair, oltre che scrivere un libro sul suo rapporto con Anna, sarà il personaggio chiave in sede processuale), l’avvocato Spodek: ne risulta un quadro contraddittorio, Anna ci appare ora come un’amica sincera e determinata a raggiungere il suo scopo, ora come un’opportunista che sfrutta le posizioni e le carte di credito altrui (memorabile l’episodio a Marrakech). La verità resta sfuggente, la pluralità dei punti di vista contribuisce a rendere inestricabile il mistero della falsa ereditiera tedesca.
Anna e Vivian sono due donne che sgomitano in una società maschilista e patriarcale: gli avvocati, i finanzieri, i magnati e gli artisti rappresentati e chiamati in causa sono quasi tutti uomini; eppure, cedono con incredibile faciloneria e credulità alla determinazione e all’aggressività di Anna che, non dimentichiamolo, ha solo venticinque anni. La party-people newyorchese, i festaioli della Città Che Non Dorme Mai, viene messa alla berlina in modo impietoso, l’alta borghesia intellettuale è ritratta nella sua vacuità e inconsistenza, ogni rapporto umano è improntato al reciproco interesse economico e ciò che conta è solo la cerchia delle conoscenze che possono introdurre negli ambienti “giusti”. Ma attenzione: non si fa il tifo per Anna, Julia Garner (Ozark, The Americans) è bravissima nel restituirci della Sorokin non solo l’ombrosità e il suo essere sfuggente fino all’ultimo fotogramma ma anche il carattere spigoloso, respingente, a tratti davvero urtante e anempatico, soprattutto nelle relazioni più strette. Insomma, Anna non ci impietosisce né ci convince fino in fondo: restano tutti i dubbi sull’inaffidabilità della sua versione dei fatti e, per quanto chi l’ha circondata e frequentata negli anni newyorchesi l’ha fatto solo per profitto personale, ci resta la netta sensazione che “la maga di Manhattan” non è certo migliore di quelli che cercava di circuire con il suo talento truffaldino.
Inventing Anna (id.), USA 2022
Stagione 1 (ep.1-9)
Distribuzione: Netflix