ApocalypseVietnam #2: “Questo non è un film sul Vietnam…questo film È IL VIETNAM!” – Apocalypse Now (F.F.Coppola, 1979)

del professor Lucio Celot

Cazzo. Accusare qualcuno di omicidio in quel posto

era come fare multe per eccesso di velocità alla 500 miglia di Indianapolis

(capitano Willard)

 

Adoro l’odore del napalm al mattino

(colonnello Kilgore)

 

Ragazzi, la merda in Vietnam si accumulava così in fretta

che avevi bisogno delle ali per non esserne sommerso

(capitano Willard)

 

L’orrore…l’orrore

(colonnello Kurtz)

 

Mi stavo cacciando in una strada senza uscita

(F.F.Coppola)

 

This is the end,

My only friend, the end

(Jim Morrison)

“Non è un film sul Vietnam, è il Vietnam. Proprio come gli americani in Vietnam, ci siamo trovati in mezzo alla giungla con troppi uomini, troppi mezzi, troppi soldi e poco alla volta siamo impazziti”: le parole di Francis Ford Coppola alla conferenza stampa al festival di Cannes del 1979 sono solo una parte della leggenda che è ormai Apocalypse Now, la versione indocinese del Cuore di tenebra conradiano che, dieci anni prima di Coppola, George Lucas e John Milius avevano tentato di portare sullo schermo. Un film-monstrum, e non tanto per la durata della versione definitiva (Apocalypse Now – Final cut, la “versione perfetta” secondo il regista, supera di poco le tre ore) ma per i dialoghi e le sequenze che si sono ben piantate nell’immaginario di almeno due generazioni di spettatori: la sequenza iniziale con il rumore ovattato e rallentato delle pale degli elicotteri, la voce di Jim Morrison, l’attacco aereo al villaggio dei vietcong al suono della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, il surf in mezzo ai colpi di mortaio, le conigliette di Playboy che danno spettacolo in mezzo alla giungla, la strage di una famiglia di contadini sul fiume, il fotoreporter fuori di testa interpretato da Dennis Hopper e, infine, lui, Marlon Brando/Walter Kurtz, il colonnello dei Berretti Verdi che si è autoproclamato divinità tribale e assoluta di una comunità di montagnard cambogiani. Per non parlare, poi, delle vicende rocambolesche della produzione nelle Filippine, raccontate nel docufilm Viaggio all’inferno, montato nel 1991 con il materiale girato da Eleanor Coppola, la moglie del regista, durante la lavorazione: un tifone che distrusse le apparecchiature e le scenografie, l’infarto di Martin Sheen, il dittatore Marcos che requisì gli elicotteri per usarli contro i ribelli. Tutto ciò non impedì l’uscita di un film che lascia sbalorditi per come l’orrore, il caos e l’insensatezza della sporca guerra vengono rappresentati sul grande schermo.

Francis Ford Coppola sul set del film, nelle Filippine

Apocalypse Now è la rivisitazione del romanzo di Conrad (un viaggio in un altro inferno, quello del cuore umano) aggiornata al neocolonialismo novecentesco post seconda guerra mondiale. La vicenda del capitano Willard (Martin Sheen) è in tutto e per tutto la stessa del Marlow conradiano: l’ufficiale ha il compito di risalire con una motovedetta della marina il fiume Nang fino a penetrare in territorio cambogiano, individuare il colonnello Kurtz (che ha abbandonato le fila dell’esercito, tagliato i ponti con la famiglia e conduce una guerriglia personale e spietata contro i Vietcong e i cui metodi, dice il generale che conferisce l’incarico a Willard, sono diventati “malsani”), infiltrarsi nel suo gruppo e “porre fine con estrema decisione al suo comando” (questo, invece, glielo dice un agente della CIA). Il viaggio tra l’onirico e l’allucinato di Willard, che durante la navigazione scorre e studia tutta la documentazione riservata su Kurtz per tentare di comprendere il perché di una missione volta a eliminare uno dei più brillanti ufficiali dell’esercito americano, passa attraverso una serie di “stazioni” che, come quelle di Marlow, restituiscono tutto l’orrore e la follia in cui si era trasformata una guerra che doveva evitare il cosiddetto “effetto domino” in Indocina (cioè il proliferare e l’estendersi di regimi comunisti in quella parte del mondo). Così, Willard e l’equipaggio (giovani “rockettari con un piede nella fossa”), in un ambiente naturale primigenio e per nulla rassicurante (la wilderness conradiana), dapprima sono testimoni increduli del raid della “cavalleria dell’aria” del colonnello Kilgore che vuole fare il surf dopo avere distrutto un villaggio dei “cong”, poi assistono ad uno spettacolo per la truppa organizzato dalla rivista “Playboy” su una piattaforma galleggiante nel bel mezzo del fiume e del nulla; lo stesso Willard finisce a sangue freddo una giovane contadina ferita durante un controllo al sampan su cui la ragazza si trovava con la famiglia; l’intero equipaggio è poi ospite di una famiglia di coloni francesi che non ne vogliono sapere di lasciare il Vietnam e criticano ferocemente la presenza americana in Indocina; infine, il battello supera l’ultimo ponte che divide il Vietnam dalla Cambogia e, dopo che il gruppo è stato decimato da una selva di frecce e lance scagliate da un nemico invisibile, Willard giunge al termine della sua allucinante odissea. L’incontro con Kurtz, che tutto sembra tranne che pazzo o squilibrato ma, al contrario, un uomo che ha trovato un’altra forma di saggezza a contatto con la giungla e la popolazione locale, sarà per Willard la definitiva conferma che lo Stato Maggiore americano lo vuole morto per chiudere la bocca ad una voce impietosamente critica nei confronti di una guerra impossibile da vincere contro “il genio. La forza di volontà. Perfetta, genuina, completa, cristallina, pura. Mi resi conto che erano più forti di noi. Perché potevano sopportare. Non erano mostri. Erano uomini, quadri addestrati.” Nel suo delirio solo apparente, Kurtz cita i celebri versi di T.S.Eliot riferendosi ai militari di Washington, incapaci di reggere le sorti della guerra e pronti a mentire al popolo americano su quanto sta davvero accadendo in Vietnam: siamo gli uomini vuoti/siamo gli uomini impagliati/che appoggiano l’un l’altro/la testa piena di paglia/figura senza forma, ombra senza colore/forza paralizzata, gesto privo di moto. Willard, una sorta di Caronte che ha traghettato se stesso dentro le contraddizioni della guerra moderna, porterà a termine la missione (“Voleva semplicemente andarsene da soldato. Perfino la giungla lo voleva morto”) e i B-52 faranno scomparire definitivamente ogni traccia di Kurtz e del suo popolo di montagnard nel bagliore arancione del napalm, su cui si staglia, nel finale, la grafica del titolo del film.

Un Marlon Brando a malapena riconoscibile nella parte di Walter Kurtz

Non solo Cuore di tenebra: la fotografia allucinata e psichedelica del nostro Vittorio Storaro fa di Apocalypse Now una discesa nell’inferno dantesco, le “stazioni” conradiane diventano qui altrettante “bolge” infernali attraverso le quali si dipana un viaggio quasi onirico, quello di Willard, fino a Lucifero/Kurtz, ben piantato al centro dell’orrore, nel cuore tenebroso del male; un Lucifero che si vede sempre in penombra, più che corpo una voce che tenta di sedurre e ammaliare Willard/Dante citando i versi di Eliot o Il ramo d’oro di Frazer.

Film sui distacchi e sulle dissociazioni (da se stesso, dalla propria cultura), sull’ipocrisia della politica, sul “sadismo universale della morte e della distruzione”, “impegno umanistico contro tutte le guerre”, “mastodontico murale dedicato alla prima guerra spettacolo della storia”, comunque lo si voglia definire (e la critica è ancora oggi divisa), Apocalypse Now è un’opera imponente che disorienta lo spettatore che si aspetta un film di guerra, ricco e complesso di riferimenti letterari e filosofici spesso difficili da cogliere (apocalisse morale dell’occidente? apocalisse della ragione? apocalisse dello stesso cinema?). Resta, in ogni caso, una pietra miliare della storia del cinema, “il più visionario film sul Vietnam, trasformato in mito”, “odissea apocalittica sulle forme di follia dell’umanità”, tributo riuscito al pessimismo conradiano cui dà espressione Jim Morrison: This is the end, my friend. Guardate e godetevi Apocalypse Now, il film che ha tentato di rappresentare l’inesprimibile che è in noi.

Il logo del film

Apocalypse Now (id.)

Regia: Francis Ford Coppola

Distribuzione: USA 1979 (col., 203’ versione Redux; 183’ versione Final cut)

Il making of del film:

Hearts of Darkness: a Filmmakers’ Apocalypse, USA 1991 (col., 96’)

Apocalypse Now Redux, sceneggiatura di John Milius e Francis Ford Coppola, ALET 2006

J.Conrad, Cuore di tenebra, Einaudi 1989 (con ampia nota introduttiva di G.Sertoli)

Per un articolato confronto tra il romanzo di Conrad e il film di Coppola:

AA.VV, Dal cuore di tenebra all’apocalisse, Rubbettino 2011

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